Corriere 21.11.17
La strage silenziosa
Montenegro, Europa: non è un Paese per bambine
di Gian Antonio Stella
L’aborto selettivo, con i genitori che «scartano» le femmine per avere un maschio, è sempre più diffuso
Un orrore che viene da lontano
Un
pugno in faccia. Ben dato a tutti quei genitori della repubblica
balcanica che, nel solco di barbariche tradizioni patriarcali, sempre
più spesso decidono di scegliere il sesso dei figli liberandosi subito,
con un aborto selettivo, delle femmine. Un aborto che non c’entra nulla
con le scelte tormentate e strazianti di tante donne che rivendicano
quel sofferto diritto di decidere, ma ha a che fare piuttosto con lo
shopping («prendiamo il corredino azzurro o quello rosa?») e con la
«cultura dello scarto» su cui martella papa Francesco.
Certo,
l’allarme per la diffusione dell’aborto selettivo che scarta le future
bambine non è una novità. C’è chi lo chiama «gendercidio» e chi, forse
più correttamente, «ginecidio». Quel che è sicuro è che si tratta di un
eccidio di proporzioni spaventose. Dice tutto la denuncia nel 1990
dell’economista e filosofo indiano Amartya Sen, che due anni prima aveva
ricevuto il premio Nobel per l’economia: «Mancano, nel mondo, almeno
100 milioni di donne». Un numero spropositato, avrebbe annotato la
biologa e giornalista scientifica Anna Meldolesi nel libro «Mai nate»,
pari a quello delle donne che vivono in Francia, Germania e Italia messe
insieme: «Una perdita numericamente superiore alle vittime delle guerre
mondiali, o delle carestie del XX secolo, o delle grandi epidemie». Un
numero che continua a crescere, crescere, crescere. Basti dire che il
dossier dell’Onu sulle popolazioni asiatiche presentato a Bangkok cinque
anni fa stimava già in 117 milioni le donne che mancavano all’appello.
Qualche
speranza, va detto, c’è. Viene dalla Corea del Sud, il primo Paese che,
stando a una recente inchiesta dell’ Economist ripresa da
Internazionale ha invertito da qualche anno un andazzo simile a quello
dei due Paesi più colpiti dal «ginecidio», Cina e India. La svolta
sarebbe dovuta a un cambiamento culturale: «Il maggiore grado di
istruzione delle ragazze e le denunce contro le discriminazioni hanno
cominciato a far apparire la preferenza per i maschi inutile. Ma le cose
sono cambiate solo quando la Corea del Sud è diventata ricca. La Cina e
l’India, dove il reddito medio è rispettivamente un quarto e un decimo
di quello sudcoreano, dovranno aspettare molte generazioni». Ma le donne
cinesi e indiane, o meglio ancora tutte intere le loro società, possono
permettersi di aspettare così a lungo? Rispondono i dati: in natura,
concordano tutti i demografi, nascono mediamente 105 maschi ogni 100
femmine, un rapporto che nel corso della vita si riequilibra.
Nel
caso dei due grandi Paesi asiatici e di altri nell’area, però, non
accade da tempo. Anzi. Come ricordava l’Avvenire già nel 2011, in Cina
«secondo l’Accademia cinese delle scienze sociali nascono 124 maschi
ogni 100 femmine». In India da 115 a 120 maschi, con punte terrificanti
in alcuni Stati come il Punjab e l’Haryana. «Nel 1991 c’era un solo
distretto con un rapporto superiore a 125 ogni 100, nel 2001 erano 46»,
spiega ancora la rivista.
Peggio: «I medici indiani hanno iniziato
a pubblicizzare l’ecografia con lo slogan: “Paghi cinquemila rupie oggi
ma ne risparmi 50 mila domani”. Il risparmio, ovviamente, è sulla dote
di un’eventuale figlia. Milioni di coppie che volevano un maschio ma non
avevano il coraggio di uccidere le bambine, hanno scelto l’aborto». In
India quello selettivo è vietato dal 1994, in Cina dal 1995. «È illegale
in quasi tutti i Paesi», accusa il settimanale britannico, «ma resta
molto diffuso perché è praticamente impossibile dimostrare che un aborto
è stato deciso per motivi di selezione sessuale. Un’ecografia è alla
portata di quasi tutte le famiglie cinesi e indiane, visto che costa in
media 12 dollari. In un ospedale del Punjab, nel nord dell’India, le
uniche bambine nate dopo una serie di ecografie sono state quelle
scambiate per bambini o che avevano un gemello maschio».
In India,
spiega l’inchiesta di Mara Accettura su «D», il premier indiano
Narendra Modi, che due anni fa aveva lanciato la campagna «Beti Bachao
Bet Padhao» (Salva una bambina, educa una bambina), «ha denunciato il
feticidio femminile, esortando a non discriminare più tra i sessi. «Che
siano scolarizzate o ignoranti, povere o ricche, cittadine o di
campagna, indù o musulmane, sikh, cristiane o buddhiste...». Si son
mossi anche l’immenso pianeta cinematografico di «Bollywood» e le tivù
che «trasmettono seguitissime soap opera, come Na Aana Is Des Laado
(“Cara figlia non venire su questa terra”), 870 episodi incentrati sugli
orrori dell’infanticidio femminile e l’oppressione dell’India rurale».
Ma quando si vedranno i frutti della semina?
Certo è che, come già
i demografi avevano denunciato da tempo, la cultura dello «scarto delle
bambine» si è via via diffusa nei Paesi balcanici. Come spiega Stefano
Giantin, che per primo ha raccontato sul Piccolo di Trieste della
straordinaria campagna lanciata dalla Ong montenegrina «Centro per i
diritti delle donne» e intitolata «Nezeljena» (non voluta), in
Montenegro «nel 2009, sono nati 113 maschi ogni 100 femmine». Folle.
Eppure,
come dicevamo, non è l’unico Paese afflitto dal fenomeno degli aborti
selettivi. I dati del think tank Population Research Institute (Pri),
basati su numeri del Census Bureau americano, parlano di oltre 15 mila
aborti selettivi in Albania dal 2000 al 2014, 2.700 in Bosnia, 7.500 in
Kosovo, 3.100 in Macedonia, 746 in Montenegro, 2.140 in Serbia… Tutte
bambine di domani. Tutte figliolette di un Dio minore.