La Stampa 14.11.17
Ma nei collegi la sconfitta è vicina
di Marcello Sorgi
A
Renzi che nella direzione Pd di ieri s’è sforzato di avanzare una
proposta unitaria, nel tentativo, affidato all’ ultimo segretario del
Pds Fassino, di rimettere insieme i cocci della rottura con gli
scissionisti confluiti in Mdp, Bersani e i suoi, e dalla
sinistra-sinistra Fratoianni, hanno subito risposto di no. Può darsi che
si tratti di tattica, nella convinzione che solo un’intesa dell’ultima
ora, un momento prima della presentazione delle liste elettorali, possa
essere accettata da un elettorato di sinistra che i fuorusciti dal
partito continuano a descrivere antirenziano e deciso a imporre una
revisione delle riforme del “governo dei mille giorni”, dal Jobs Act
alla “buona scuola”, che Renzi invece dalla tribuna del Nazareno ha
difeso. Ma al momento, anche dopo che la minoranza interna ha in parte
riconosciuto - con l’approvazione di Emiliano e l’astensione di Orlando
che s’è astenuto - che il segretario ha fatto uno sforzo per tornare sui
propri passi, le posizioni restano lontane. E se non si troverà il modo
di riavvicinarle, la sconfitta del centrosinistra, nei collegi
uninominali, ma non solo, è sicura.
All’interno del Pd e
soprattutto tra i renziani, sottovoce, c’è chi si chiede se in
conclusione non sia questo il vero obiettivo degli scissionisti e dei
vari spezzoni della sinistra radicale in via di ricomposizione. La
scelta di due leader come personaggi-immagine della campagna elettorale -
il presidente del Senato Grasso per Mdp e quella della Camera Boldrini
per Pisapia e Campo progressista - ha rigalvanizzato le truppe che si
avviano a una campagna elettorale da giocare tutta in chiave
antirenziana, con l’obiettivo di recuperare quella parte di elettorato
deluso finito nell’astensione. Ma alla base di questa scelta c’è la
convinzione che una trattativa sulle liste con il leader Pd non
porterebbe a un risultato molto diverso da quello che la sinistra può
cercare di guadagnarsi da sola nelle urne.
L’argomento della
sconfitta a cui di sicuro andrebbero incontro i due tronconi separati
della ex-coalizione, e dell’aiuto che le divisioni darebbero al
centrodestra, inaspettatamente candidato alla vittoria, non fanno presa
tra i bersanian-dalemiani. Al dunque, ragionano, non è detto che se
vince la destra con questa legge avrà la maggioranza in Parlamento. Se
così sarà, nascerà un governicchio destinato a reggere una legislatura
breve, che magari si concluderà dopo un anno e mezzo con l’avvento di un
governo tecnico, guidato da Draghi e incaricato di metter a posto i
conti prima di riportare il Paese al voto.