La Stampa 14.11.17
Violentato quando era bambino si vendica e accoltella il pedofilo
Pordenone, il 23enne accusato di tentato omicidio ha confessato
Il ferito, in gravi condizioni, era a processo per pedopornografia
di Lorenzo Padovan
San
Vito al Tagliamento Due coltellate alla schiena a quell’uomo a cui
aveva voluto tanto bene, poi la fuga nella notte. Un’ora a ripensare a
quello che aveva combinato, una telefonata ad una persona cara che lo
avrebbe convinto ad arrendersi e la decisione di costituirsi dai
carabinieri: «L’ho accoltellato io».
Per un 23enne di San Vito al
Tagliamento (Pordenone), cittadino italiano ma originario di un Paese
dell’Est, accusato di tentato omicidio, si sono spalancate le porte del
carcere. «Solo dopo l’interrogatorio di garanzia potrà essere valutata
la premeditazione», ha spiegato il Procuratore della Repubblica Raffaele
Tito.
Per la vittima dell’aggressione, un medico di 48 anni, è
iniziata la disperata lotta tra la vita e la morte nell’ospedale
cittadino: è stato accolto in Terapia intensiva, ha subito due
interventi chirurgici, ha perso molto sangue, non si sa se ce la farà.
In
pochi secondi, all’interno della cucina del professionista, a
mezzanotte di domenica, si sono ribaltati i ruoli. Fino a quell’istante
era il ragazzo a proclamarsi vittima di molestie sessuali e il dottore
era il presunto autore di episodi avvenuti quando il suo ospite era
ancora minorenne. Ospite. Perché i due, in quella casa, hanno convissuto
a lungo. Durante un difficile periodo famigliare, il medico si era
offerto di aiutarlo e di prenderlo con sé. All’epoca faceva l’allenatore
del settore giovanile della locale squadra di calcio. L’adolescente
aveva bisogno di attenzioni: necessitava di un sostegno e lui glielo
offrì. Un legame durato ben dieci anni, con l’uomo che ha pagato gli
studi e perfino trovato un lavoro a quel ragazzetto oggi diventato uomo.
Ma proprio quando è entrato nell’età adulta l’ormai ex calciatore ha
formulato l’accusa infamante nei confronti di colui che doveva essere,
al contrario, il suo protettore, la sua fonte di ispirazione, la
salvezza da un’esistenza poco agiata.
Sulla scorta delle
dichiarazioni circostanziate del ragazzo sono scattate le indagini, che
hanno permesso di individuare nel computer di casa del medico del
materiale pedo-pornografico. Tra le varie accuse, quella pesantissima di
adescare minori via internet. Per questa ragione, l’inchiesta è stata
trasferita alla Direzione distrettuale antimafia di Trieste competente
per questa tipologia di crimini. Qualche settimana fa, di fronte al Gup
l’indagato non ha scelto riti alternativi, convinto di poter dimostrare
la propria estraneità. «Quel computer lo usavano tutti - si è difeso -:
casa mia è sempre stata un approdo per tanti giovani. Non c’era
password. Vi navigavano anche colui che mi accusa e i suoi amici».
La
prima udienza dibattimentale è fissata per il mese di febbraio, a
Pordenone. Il ragazzo che si è fatto uomo non ha saputo attendere. È
tornato in quell’abitazione, ha affrontato il medico e lo ha colpito. Il
ferito poteva morire dissanguato. Invece ha raggiunto il cellulare, ha
composto il 112 e ai soccorritori, con un filo di voce, invocando aiuto,
ha sussurrato il nome del suo aggressore, usando le quattro lettere del
diminutivo con cui lo ha sempre chiamato confidenzialmente. «È stato
lui».
Prima ancora che si costituisse, i carabinieri coordinati
dal tenente colonnello Marco Campaldini avevano predisposto posti di
blocco e circondato la casa dove il giovane abita con alcuni parenti,
sempre in paese. Una comunità piccola, dove fino a ieri tutti pensavano
di conoscersi. Scoprendo infine che sul medico stimato, mister di intere
generazioni di baby calciatori, c’era l’ombra della pedofilia. E che
quel ragazzino difficile si era trasformato in un potenziale assassino.