La Stampa 12.11.17
Quando la Chiesa amava tutti gli uomini esclusi gli africani
Il libro di un prete nigeriano svela il ruolo dei papi nella pratica dello schiavismo fino al 1839
di Rita Monaldi Francesco Sorti
I
papi hanno abusato della Bibbia per lucrare sul traffico di schiavi».
Queste parole non vengono da qualche autore di thriller trash a base di
scandali vaticani, ma da uno storico serio che sul tema vanta una doppia
legittimazione. È nigeriano (quindi partie en cause) e soprattutto è un
prete cattolico. Si chiama Pius Adiele Onyemechi ed esercita da 20 anni
il suo ministero in Germania, nella regione del Baden-Württemberg.
La
sua innovativa indagine The Popes, the Catholic Church and the
Transatlantic Enslavement of Black Africans 1418-1839 (pp. XVI/590., €98
Olms, 2017), che tra gli storici già suscita discussioni, capovolge il
vecchio dogma secondo cui il Papato è stato sostanzialmente estraneo
alla più grande strage di tutti i tempi: la tratta degli schiavi. Una
tragedia secolare che - come ricorda il grande scrittore danese Thorkild
Hansen nella sua classica trilogia sullo schiavismo - ha seminato oltre
80 milioni di morti.
Una sorpresa
Proprio in questi mesi la
prestigiosa Accademia delle Scienze di Magonza ha concluso un colossale
progetto di ricerca sulla storia della schiavitù durato ben 65 anni,
con la collaborazione di studiosi di primo piano come il sociologo di
Harvard Orlando Patterson (egli stesso discendente di schiavi) e lo
storico dell’antichità Winfried Schmitz. Quasi a suggello è arrivato il
libro di don Onyemechi: una radiografia minuziosa del ruolo dei papi nel
commercio di schiavi in Africa dal XV al XIX secolo, l’epoca dorata del
business schiavistico. Per la prima volta a suon di date, fatti e nomi
don Onyemechi punta il dito su responsabilità morali e materiali,
avviando un regolamento di conti col passato proprio nel momento in cui
la Chiesa di Roma, nella sua tradizione secolare di sostegno ai più
deboli, chiama alla solidarietà verso i migranti. Come riassume
l’autore, i risultati «fortemente sorprendenti» venuti alla luce
«affondano un dito nelle ferite di questo capitolo oscuro della Storia, e
nella vita della Chiesa cattolica».
«La Chiesa», spiega il
religioso, «ha abusato del passo biblico contenuto nel capitolo 9 della
Genesi», in cui si afferma che tutti i popoli della terra discendono dai
figli di Noè: Sem, Cam e Iafet. Dopo il diluvio, Cam rivelò ai fratelli
di aver visto il padre giacere ubriaco e nudo. Noè maledisse Cam
insieme a tutti i suoi discendenti, condannandoli a diventare servi di
Sem e Iafet. La Chiesa allora affermò che gli africani sarebbero i
discendenti di Cam. Pio IX, ancora nel 1873, inviterà tutti i credenti a
pregare affinché sia scongiurata la maledizione di Noè pendente
sull’Africa.
Documenti scomparsi
Nel nostro romanzo
Imprimatur abbiamo reso noto il caso di Innocenzo XI Odescalchi
(1676-1689), che possedeva schiavi, era in affari con mercanti negrieri e
vessava i forzati in catene sulle galere pontificie. I documenti che lo
provano, pubblicati nel 1887, sono poi misteriosamente scomparsi.
Certo, nel Seicento i moderni diritti umani erano di là da venire, ma
poi papa Odescalchi è stato beatificato nel 1956, e in predicato per la
canonizzazione nel 2002.
Di simili contraddizioni don Onyemechi ne
ha scovate a migliaia. Il commercio di schiavi in origine toccava Cina,
Russia, Armenia e Persia; mercati internazionali si tenevano a
Marsiglia, Pisa, Venezia, Genova, Verdun e Barcellona. Col tempo queste
rotte sono tutte scomparse, tranne quelle africane. Come mai? Sarebbe
stata la Chiesa a giocare il ruolo decisivo, raccomandando a sovrani e
imperatori di «preferire» schiavi africani. Lo fecero vescovi e perfino
Papi come Paolo V.
La giustificazione veniva non solo dalla Bibbia
ma anche da Aristotele, per il quale alcuni popoli erano semplicemente
«schiavi per natura». Una visione poi ripresa da San Tommaso e
dall’influente facoltà teologica di Salamanca nel XV e XVI secolo. Padri
della Chiesa come Basilio di Cesarea, Sant’Ambrogio, Gregorio di Nissa,
Giovanni Crisostomo e lo stesso Sant’Agostino invece giustificavano la
schiavitù come frutto del peccato originale.
Il Portogallo
A
metà del XV secolo il portoghese Niccolò V concesse al suo Paese di
origine il diritto di evangelizzare, conquistare e deportare «in
schiavitù perenne» gli africani, bollati come nemici della Cristianità
insieme ai saraceni (che in verità erano ben più pericolosi e
martoriavano, loro sì, i regni cristiani). I successori Callisto III,
Sisto IV, Leone X e Alessandro VI non fecero altro che confermare e
ampliare i diritti concessi al Portogallo. Altri Pontefici (Paolo III,
Gregorio XIV, Urbano VIII, Benedetto XIV) nelle loro Bolle ufficiali si
schierarono contro la schiavitù degli Indiani d’America, ma non contro
quella degli africani.
Dallo schiavismo la Chiesa ha avuto un
concreto ritorno economico. Attivissimi i missionari portoghesi e
soprattutto i gesuiti, che compravano gli schiavi per impiegarli nelle
loro piantagioni in Brasile e nel Maryland. Oppure li rivendevano con la
loro nave negriera «privata», che trasportava la merce umana da Congo,
Luanda e São Tomé verso il Brasile. Don Onyemechi cita il contratto con
cui nel 1838 il Provinciale dei Gesuiti del Maryland, Thomas Mulledy,
vendette 272 schiavi africani. Prezzo: 115.000 dollari al «pezzo».
L’evangelizzazione consisteva per lo più nel battezzare in fretta e
furia gli schiavi prima di imbarcarli. Anzi, tutto il meccanismo faceva
sì che essi venissero tenuti ben lontani dalla parola di Cristo. I
profitti venivano reinvestiti in nuove campagne di aggressione e
deportazione.
Riconoscimento tardivo
«Solo nel 1839 la
Chiesa ha riconosciuto gli africani come esseri umani al pari di tutti
gli altri», ricorda lo storico di origine nigeriana. Lo sancì una Bolla
di Gregorio XVI, in verità piuttosto tardiva: i commerci di schiavi
erano stati già aboliti da quasi tutti gli Stati tra 1807 e 1818 e gli
Inglesi ne avevano preso le distanze sin dalla fine del Settecento. Don
Onyemechi ha lavorato su fonti originali nell’Archivio Segreto Vaticano e
negli archivi di Lisbona (per decifrare i manoscritti lusitani ha
imparato da zero il portoghese) e ha dato un contributo duraturo
(realizzato con routine teutonica ogni giorno dalle 3 alle 8 del
mattino) alla ricerca della verità storica. A Roma non dovrebbe riuscire
sgradito, vista l’attenzione di papa Francesco - anche lui gesuita -
per i popoli d’Africa.