domenica 19 novembre 2017

Il Sole Domenica 19.11.17
Nina Coltart (1927 – 1997)
Vitalità della psicoanalista
di Vittorio Lingiardi

A 25 anni dalla sua pubblicazione, esce, per la prima volta in traduzione italiana, quello che, con un ossimoro, definirei un «classico sconosciuto»della psicoanalisi britannica. Il titolo originale è Slouching towards Bethlehem, da un verso di Yeats su una rozza bestia che arranca verso Betlemme per «venire alla luce«. L’autrice è Nina Coltart, la «più indipendente degli Indipendenti«. La definizione è sua, come sua fu la decisione, il 24 giugno 1997, di togliersi consapevolmente la vita perché una grave malattia gliela avrebbe presto comunque tolta. Ma soprattutto perché era pronta: il momento in cui doveva «pensare a morire, se possibile, con grazia» era giunto. La morte, Nina Coltart, l’aveva conosciuta a dodici anni: in Cornovaglia, aspettando alla stazione i genitori che, schiantati da un incidente ferroviario, non sarebbero arrivati. Con lei rimaneva la sorella minore Gillian, l’affetto più grande di tutta la vita.
Sara Boffito, che con delicata sapienza ha tradotto e introdotto il volume, ci fa notare che to slouch ha un doppio significato: arrancare ma anche stravaccarsi, come fanno i bambini quando non stanno composti e come si fa sul lettino dello psicoanalista. È anche quello che succede in analisi, quando parti del mondo interno del paziente arrancano per «venire alla luce». Un’immagine generativa che contiene la fatica, il dolore e la vitalità del parto. L’analista dunque come levatrice, come lo era l’amatissima bambinaia delle sorelline Coltart. Come di fronte al mistero del nascere, l’analista deve prestare un ascolto attento e fiducioso, una «profonda e disinteressata apertura di sé a un’altra persona». Di questo è fatta l’analisi: «un movimento per venire alla luce«.
Coltart, continua Boffito, ha avuto il coraggio di non nascondersi dietro la teoria, ma di riconoscere che «ogni ora, con ogni paziente è anche, a suo modo, un atto di fede; fede in noi stessi, nel processo, e fede negli aspetti segreti, sconosciuti, impensabili nel nostro paziente». Si tratta dunque di Pensare l’impensabile (il sottotitolo inglese diventa il titolo italiano).
Il libro comprende vari scritti: una raccolta che, con gli altri due volumi già apparsi in traduzione italiana – Come sopravvivere da psicoterapeuta (Utet) e Il bambino e l’acqua del bagno (Astrolabio) – racconta un percorso di vita e di lavoro attraversato dalla pratica terapeutica (originale e lontana da ogni ideologia psicoanalitica) e dalla tensione religiosa (un’inclinazione personale per il buddhismo, scevra di qualsiasi consolazione new age). Due piani, quello analitico e quello spirituale, che Coltart intreccia con la semplicità di un lavoro a maglia, toccando luoghi di interiorità che, mentre la inseriscono tra i grandi della psicoanalisi novecentesca (soprattutto Winnicott, Bion e Bollas), la rendono sorella di donne di esperienza e pensiero eccezionali come Weil e Hillesum.
L’incontro dinamico tra i due mondi avviene grazie alla fede («con la f minuscola, non con la F maiuscola che potrebbe implicare un atteggiamento credulo nei confronti di una teoria o una dottrina, ma una fede nella nostra esperienza, la quale cresce ogni volta che, all’interno della coppia analitica, le cose accadono») e l’attenzione. Un’attenzione «nuda», bionianamente intesa come sospensione di memoria e desiderio, «un osservatorio nella nostra mente» che permette di offrire al paziente il miglior tipo di ascolto.
Sono molti i punti di questo libro in cui Coltart riesce a sintetizzare con efficacia argomenti complessi. Per esempio: «scendere sotto gli standard dell’ideale dell’Io genera vergogna; scendere sotto gli standard del Super-io genera colpa. Il giudizio dell’ideale dell’Io sentenzia “fallimento”; quello del Super-io “cattiveria”».
La sua lingua è colta e attraversata da un elegante umorismo, mai usato però per evitare l’intensità dei materiali clinici. Lei non si nasconde: né ai suoi pazienti, né ai suoi lettori. E così il testo, anche nelle parti più tecniche, rivela una vitalità toccata da una lieve, mai ingombrante, metafisica. E proprio perché nulla è nascosto, si rimane colpiti dall’intensità di alcune sedute, che qui non ho lo spazio per raccontare, se non attraverso i loro titoli: L ’analisi di un paziente anziano, Il paziente silenzioso, Sono le buone maniere a fare un uomo: vero o falso?.
La psicoanalisi, dice Coltart, è un’attività paradossale perché si nutre di scissioni psichiche: mettere a fuoco fulmineamente e scrutare con pazienza; tollerare il groviglio dei propri sentimenti ma saperli osservare con freddezza; rivolgere l’attenzione contemporaneamente al paziente e a noi stessi; distinguere le nostre reazioni dalle sottili proiezioni che il paziente fa su di noi e dentro di noi; fidarsi delle nostre conoscenze essendo disposti a non sapere nulla; prendere con fermezza piccole decisioni morali, ma tenerci alla larga dal giudizio.
Pensare l’impensabile è un libro da leggere per espandere i confini della psicoanalisi. Non è necessario pensarla come Coltart. È necessario però interrogarsi sulle domande che, più o meno esplicitamente, attraversano il suo libro: tecnica e relazione, mistero e svelamento, fattori terapeutici e non terapeutici, dolore e gioco. Ingredienti che in controluce troviamo in due brevi regole auree che questa gentile e tenace giardiniera della psicoterapia psicoanalitica ci ha lasciato: «Potate dove potete» e «Quando siete in dubbio non dite nulla».
Nina Coltart,Pensare l’impensabile, e altre esplorazioni psicoanalitiche , Traduzione di Sara Boffito, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 224, € 24,00