Il Sole Domenica 19.11.17
Eva Cantarella
Il parricidio nell’antica Roma
di Mario Ricciardi
Non
è un buon momento per i padri. Sopravvissuta a stento all’emancipazione
femminile e alla riforma del diritto di famiglia, la figura paterna
correrebbe il rischio di assumere un ruolo quasi ornamentale, come un
monarca scandinavo. Sarà vero? Un piccolo aiuto a chiarirsi le idee, per
avere una visione più lucida dei tempi in cui viviamo, ci viene
dall’ultimo libro di Eva Cantarella, autorevole studiosa del mondo
antico, e divulgatrice di grande eleganza, che ricostruisce la storia
dei rapporti tra genitori e figli dall’antica Roma a oggi. Sin dalle
prime pagine scopriamo che gli odierni nostalgici avrebbero avuto
qualche motivo di ansia anche se fossero vissuti agli albori della
civiltà romana. Pare che a quei tempi, infatti, vigesse una pratica –
che Cantarella descrive con ironia come una sorta di antenata della
“rottamazione” – che imponeva l’uccisione degli anziani, quando questi
fossero diventati un peso per la società.
In epoca posteriore i
romani, che si vantavano delle proprie tradizioni, trovarono questi
precedenti imbarazzanti, e fecero di tutto per relegarli tra le “fake
news”, ma diversi indizi fanno ritenere che qualcosa di vero ci fosse.
Altrimenti perché chiamare i sessantenni «depontani»? Cioè quelli che
«vanno dal ponte»... nelle acque del Tevere.
Per i padri le cose
migliorano, ma non del tutto, più tardi. Se è vero, infatti, che essi
avevano un ruolo centrale nell’organizzazione sociale della Roma
classica, non si può certo dire che conducessero una vita serena. Non
tanto per gli impegni lavorativi, ai quali attendevano, ciascuno nel
proprio ruolo, mogli, figli e schiavi, ma per via della posizione in cui
si trovavano dal punto di vista patrimoniale. Nel diritto del tempo
essi erano titolari dell’intero patrimonio riconducibile al nucleo
familiare, e conservavano questo ruolo fino alla morte. Le strade di
Roma pullulavano quindi di giovani di belle speranze, e talvolta di
facili costumi, che potevano contare al massimo sul peculium, una
quantità di denaro, spesso non elevata, per le esigenze quotidiane. In
tali condizioni ricorrere ai prestiti non era cosa facile perché il
termine di scadenza “a babbo morto” non era visto con favore dai
creditori. Eccetto che non si trovasse un modo per renderlo un po’ meno
incerto. Ecco perché il parricidio, come afferma il grande storico Paul
Veyne, era una “nevrosi nazionale” dei romani. La parte centrale del
libro descrive in modo essenziale ma accurato il regime della famiglia
nel diritto romano, i poteri straordinariamente estesi che aveva a
disposizione il padre, che includevano, tra l’altro, anche quello di
uccidere i figli o di venderli come schiavi. In queste pagine, in cui
Eva Cantarella ritorna su temi di cui si è già occupata in passato, c’è
anche un’interessante discussione di alcune questioni di metodo,
relative alle fonti cui attingere per ricostruire il modo di vita dei
romani. Gli storici antichi non dicono tutto, e a volte possono essere
inaccurati o reticenti per ragioni ideologiche, quindi bisogna integrare
attraverso lo studio dei testi giuridici, etici, retorici e letterari.
Tenendo sempre d’occhio le scienze sociali: perché i romani sono uomini e
donne per molti aspetti “diversi da noi”, quindi l’antropologia può
aiutarci a comprenderli tanto quanto le discipline tradizionalmente
coltivate dai classicisti. Eva Cantarella, che di tale approccio è stata
una pioniera nel nostro Paese, usa questi riferimenti con parsimonia,
ma in modo efficace, accompagnando il lettore che non sia familiare con
gli indirizzi di ricerca più recenti in un percorso di scoperta
affascinante.
Nella parte finale del libro c’è una rapida
ricostruzione dell’evoluzione della famiglia dall’antica Roma alla
società contemporanea. Trasformazioni nei costumi che cominciano a
essere riconoscibili già nella tarda antichità si consolidano per via di
diverse ondate di modernizzazione. Così avviene che la famiglia arcaica
cede progressivamente il posto a quella nucleare, e col tempo finiscono
per mutare anche le idee relative al matrimonio, ai rapporti tra i
coniugi, al ruolo dei genitori rispetto ai figli. Nasce quella che gli
studiosi chiamano la “famiglia sentimentale” che porta in primo piano la
dimensione dell’intimità tra i suoi membri. Oggi è forse la perdita di
questo ideale che i nostalgici piangono. Non la famiglia reale, che può
essere un paradiso o un inferno a seconda delle circostanze, e che, come
istituzione, evolve, come ha sempre fatto, ma un certo modo di
concepirla, di idealizzarla, basato sull’idea che l’amore abbia un posto
speciale tra le mura domestiche. Forse è questo che manca a tanti padri
di mezza età, che hanno più tempo, ma meno certezze e passioni di
quelli della generazione precedente: la fiducia di poter contare
sull’amore dei figli.
Eva Cantarella, Come uccidere il padre. Genitori e figli da Roma a oggi , Feltrinelli, Milano, pagg. 139, € 14