Il Sole Domenica 12.11.17
Movimenti
I Catari tra spirito e anima
di Marco Vannini
Nella sua ampia Summa contra catharos et valdenses, scritta alla metà del ’200, il domenicano Moneta da Cremona fa sapere che i catari affermano «una cosa esser l’anima, un’altra lo spirito». Per spirito - spiega - intendono l’angelo, custode dell’anima e suo reggitore, mentre l’anima si trova quaggiù racchiusa nel corpo, soggetta alla sua debolezza, in attesa di risalire alla vera patria. La separazione dell’anima dallo spirito e la sua caduta e imprigionamento nel corpo sarebbe originata dalla rivolta di Lucifero contro Dio, nella quale lo hanno seguito altri angeli ribelli: proprio essi sarebbero le anime umane.
Il lettore contemporaneo guarda con sorriso di superiorità a questi miti, ma non comprende neppure il significato della cosa: aliud esse animam et aliud spiritum. Ciò non sfuggì invece a Simone Weil, che riconobbe nel catarismo l’eredità sapienziale della filosofia antica, cancellata dal potere ecclesiastico. Già nel IV Concilio di Costantinopoli, nell’ 870, si condannavano, infatti, quelli che sostenevano «l’esistenza nell’uomo di due anime» (canone 11), e le due anime cui ci si riferisce non sono altro, in realtà, che l’anima e lo spirito. Era propria, infatti , della sapienza antica la concezione dell’uomo come fatto di corpo, anima e spirito, e questa antropologia troviamo ancora in Paolo, che distingue radicalmente corpo e anima, da una parte, e spirito, dall’altra. Nella Prima Lettera ai Corinzi, l’uomo spirituale , che gode della libertà dello spirito, è contrapposto all’uomo psichico, schiavo della carne e delle passioni che essa comunica all’anima. L’uomo psichico (animalis homo, in latino), non comprende le cose di Dio, mentre l’uomo spirituale tutto comprende, «tutto giudica e non è giudicato da nessuno»: una affermazione, questa, punto gradita all’autorità, tanto civile quanto religiosa, e che spiega a sufficienza anche la condanna di cui abbiamo detto sopra.
Al Vangelo appartiene infatti l’invito a «rinnegare se stessi», «odiare la propria anima», perché si possa rinascere in spirito, e in questo senso i Padri della Chiesa greci riconobbero nell’appello evangelico l’insegnamento che da sempre costituiva il filosofare : «esercizio di morte», come lo definisce Platone, ovvero il plotiniano «distaccarsi da tutto».
La tradizione mistico-filosofica parla così proprio di «morte dell’anima», ovvero della estinzione della volontà egoica, legata al particolare, a ciò che è superficiale, e dopo la quale soltanto si trova l’essenziale, il nostro vero io. A pochi decenni di distanza dalla tragica conclusione della vicenda catara, a lui ben nota, Meister Eckhart poteva ancora parlare della parte più alta dell’anima, non toccata dal tempo, separata dal “qui” e dall’ “ora”. È il «fondo dell’anima, che si chiama spirito, e ha l’essere in comune con gli angeli». Solo chi lo conosce, conosce se stesso e sa cosa sia la beatitudine.
si ringrazia Maria Rosaria Bianchi
https://spogli.blogspot.com/2017/11/il-sole-domenica-12_13.html