Il Sole 1.11.17
Se l’Europa «non interviene»
di Adriana Cerretelli
Aveva
messo a segno un colpo da maestro il 1° ottobre sfidando la Spagna e il
Governo Rajoy con il referendum sull’indipendenza della Catalogna: atto
illegale secondo la Costituzione del paese ma consumato in un clima di
intimidazione e violenza da parte della Guardia Civil, che aveva
scatenato in Europa e nel mondo un’ondata di simpatia per la sua causa e
di condanna della repressione.In trenta giorni esatti Carles Puigdemont
ha bruciato il proprio capitale politico facendo uscire Mariano Rajoy
dall’angolo in cui era finito, complici i suoi troppi errori, ma senza
riuscire a tirare l’Europa dalla parte della sua causa.
«Non si
proclama l’indipendenza per abbandonare subito il campo» dice un alto
esponente del Governo belga. Fuga da Barcellona, irreperibilità per
tutto il weekend, quindi repentina apparizione lunedì a Bruxelles hanno
lasciato i catalani costernati, gli spagnoli sollevati, gli europei
infastiditi.
Il deposto presidente della Generalitat ieri ha
parlato alla stampa internazionale in veste di martire pacifista
dell’indipendentismo catalano, vittima «dell’aggressività, della
violenza, della vendetta e non della giustizia spagnole». Giunto a
Bruxelles, «la capitale d’Europa», non per chiedere asilo in Belgio ma
per spiegare le ragioni della Catalogna e del suo diritto
all’autodeterminazione, per europeizzare una battaglia fatta di valori
europei come democrazia, libertà, accoglienza e non violenza,
contrapposti a quelli di una Spagna militarizzata e repressiva che,
condannando a 30 anni di carcere i dissenzienti, non riconosce quei
valori.
Negando di aver abbandonato i suoi, Puigdemont ha
affermato che continuerà l’azione del Governo in esilio, pronto a
tornare se otterrà «garanzie di un processo giusto» e non politicizzato.
Ha annunciato che accetterà il risultato delle elezioni del 21
dicembre. E ribadito la richiesta di aiuto all’Europa «per dare esito
politico a un conflitto politico».
Ha parlato a lungo ieri a
Bruxelles ma non ha convinto quasi nessuno nei panni del nuovo Gandhi
illegalmente spogliato di poteri legittimi da una sorta di colpo di
Stato spagnolo. Non ha convinto perché, semmai, è vero il contrario.
Però
è altrettanto vero che l’accanimento giudiziario contro i vertici
catalani, con l’equiparazione di un atto di ribellione pacifica a un
atto di terrorismo e pene relative, potrebbe, se continuasse, rivelarsi
l’ennesimo errore madornale di Rajoy ribaltandone l’attuale vantaggio
politico e mettendo alla lunga in difficoltà l’Europa che lo sostiene.
La
partita catalana è una di quelle in cui tutti i protagonisti camminano
sul filo del rasoio: di sicuro la Spagna, che rischia di perdere la sua
regione più ricca e dinamica nel braccio di ferro tra nazionalismi
contrapposti e reciprocamente accecati da sè stessi.
Di certo
anche l’Europa che, in quanto unione di Stati nazionali e sovrani, per
definizione non ha scelta nella parte da recitare in questo copione,
l’ennesimo dal fronte delle molteplici crisi aperte al suo interno. E
per questo rifiuta di esercitare un ruolo politico in una vicenda
«interna».
Si discute molto ed alta voce di rilancio imminente
dell’integrazione politica, economica, finanziaria, militare nelle forme
e nei modi da definire nei prossimi due anni. Forse anche per tentare
di esorcizzare le forze della disgregazione che non cessano di
tormentarla e indebolirla.
Non c’è solo Brexit, il vulnus storico
del divorzio britannico prossimo venturo. C’è l’avanzata dell’estrema
destra un po’ dovunque ma soprattutto nel cuore della prospera
Mitteleuropa che ritrova nazionalismi, xenofobia ed egoismi diffusi, più
o meno assertivi e determinati a darle la linea. Ci sono i populismi
più o meno anarcoidi che lavorano ai fianchi le sue democrazie, con i
partiti tradizionali sempre meno in grado di rispondere alle ansie delle
società rispettive. E ci sono regionalismi e separatismi sempre pronti a
rialzare la testa alla ricerca di autonomie più o meno radicali.
Paradossalmente
il gioco alla frantumazione dell’Europa e dei molteplici interessi che
la compongono avviene proprio quanto il ritorno di una robusta ripresa
economica creerebbe le condizioni indispensabili per superare molti
malumori anti-Ue e rimettere in marcia un’Unione più forte e credibile.
Crisi
e incomprensioni più o meno endemiche tra europei, che siano Stati,
regioni o cittadini, finora non hanno mai impedito all’Unione di
avanzare tra stop and go, entusiasmi e grandi rifiuti. In questo senso
nemmeno la questione catalana farà eccezione. A patto che il buon senso
prevalga tra tutti e l’Europa, sia pure dietro le quinte, se ne faccia
garante.