il manifesto Alias 18.11.17
Majakovskij e Gianni Toti
Il
convegno. La Trilogia realizzata per la sperimentazione Rai e mai
programmata è presentata giovedì 23 novembre a Roma Tre in occasione
della manifestazione "Il progetto e le forme di un cinema politico a
cento anni dalla rivoluzione d'ottobre"
di Sandra Lischi
«L’io
è poco per me – e per voi?». È uno dei versi di Majakovskij che Gianni
Toti, poetronico futuriano, cita negli immaginifici titoli di testa del
suo videopoema Incatenata alla pellicola, 1983. L’opera fa parte della
«Trilogia majakovskiana» realizzata da Toti per la Sperimentazione
Programmi della RAI: un omaggio al poeta, a Lili Brik, al cinema, alle
utopie rivoluzionarie dell’epoca, in una fervida e struggente mescolanza
di alterità non solo politiche, di pensiero, di sguardo ma anche di
modi di vita e d’amore.
L’amore che «è al cuore di tutte le cose»,
l’amore come «libero confronto col mondo intero», come scriveva
Vladimir appunto a Lili nel 1923. La storia di Lili Brik (1891-1978),
del marito Osip, di Majakovskij, la storia di quelle amicizie, di
quell’amore per la vita e per la rivoluzione, e anche la storia di Lili e
della sorella Elsa Triolet, che visse a Parigi e fu scrittrice e
traduttrice oltre che la moglie di Aragon, sono affascinanti, ricche di
spunti, di evocazioni, di cultura e di passione politica nel senso più
nobile alto ed esistenziale.
Per Toti fanno parte di un universo
di riferimento costante, con Velimir Chlébnikov e il suo «linguaggio
transmentale», Dziga Vertov, Ejzenštejn; quanto a Majakovskij,
giganteggia anche letteralmente in suoi lavori successivi, come
Planetopolis, del 1994, con la sua statua nell’omonima piazza di Mosca
che oscilla su una ininterrotta città che si stende dagli USA
all’ex-URSS. Del resto Planetopolis si apre con una dedica a Vertov e
con la discesa su un pianeta abitato oggi dalle masse di Ottobre di
Ejzenštejn che «avantindietreggiano».
Toti, videoartista e
coSmunista, come si definiva ma anche poeta, saggista, scrittore,
traduttore, giornalista, era un profondo conoscitore delle avanguardie
russe e poi sovietiche degli anni Venti. Ma aveva anche conosciuto
personalmente Lili Brik: e una Lili Brik già ottantenne gli aveva donato
a Mosca nel 1970 un frammento di Sakovannaja filmoi (Incatenata alla
pellicola, appunto), film del 1918 con la regia di Nikandr Turkin,
interpretato da lei e da Majakovskij, che ne aveva anche realizzato il
manifesto, con un disegno che ritraeva la protagonista avvolta dalle
spirali del nastro di pellicola. Toti ha raccontato questa storia in
quella bellissima rivista dalla copertina cartonata che era «Carte
Segrete» (nel gennaio-marzo 1971): «neppure sequenze, scrive, solo
fotogrammi ricuciti adesso con filo di memoria e pazienza…chi ha visto,
chi vedrà quei ‘resti’ che non sono silenziosi?» si chiedeva.
La
risposta l’ha poi trovata lui stesso decidendo, molti anni dopo, di
rimetter mano a quel frammento, di dilatarlo in una sorta di blow-up
amoroso, di indagine poetica e antropologica, politica e
videocinematografica insieme, nel confronto fra epoche e sogni ma anche
fra tecnologie: cine-occhio e video-occhio.
Il frammento era
scampato a un incendio alla Neptun Film: due minuti e quaranta secondi
in cui vediamo brevi scene fra i due, il cui senso è ricostruibile solo a
partire dalla storia, quella di un pittore che si innamora della
protagonista di un film, una ballerina in tutù che per amore esce dallo
schermo ed entra nel mondo reale.
Uno dei taschinabili scritti da
Toti, edito da Fahrenheit 451, nel 1994, Lili Brik e Majakovskij, La
leggenda di Cinelandia, contiene anche la simulata corrispondenza
ironicamente polemica di Toti con il Woody Allen di The Purple Rose of
Cairo, del 1985: storie di uscite dagli schermi!
Majakovskij aveva
poi rimesso mano a quel film che non lo soddisfaceva, riscrivendone la
sceneggiatura, nel 1926. Il film, Cuore di cinema, non fu mai girato.
Toti nella sua Trilogia per la RAI narra in tre modi diversi questo
concatenarsi di storie: la prima parte, Valeriascopia o
dell’Ammagliatrice, rimette in scena il film del 1918 con una
danzatrice, Valeria Magli, e una coreografia sperimentale arricchita
dagli effetti elettronici; la terza, Cuor di Tèlema (1984), girato al
Museo del cinema di Torino, e con la collaborazione della Cineteca di
Bologna, riprende il progetto di Majakovskij, rileggendolo fra documento
(si sente anche la voce di Majakovskij), finzione con attori, poesia,
videoarte.
Ma è in Incatenata alla pellicola, che dilata quei due
minuti e quaranta secondi fino a un’ora, che sboccia lo splendore dei
primi piani ulteriormente ingranditi e sgranati in video, il
rallentamento di sguardi e gesti, e germogliano gli occhi enormi di Lili
e lo sguardo tenero e severo di Volodia, le mani, il bianco del tutù,
il cravattino, la nostalgia dello schermo. Con tocchi di colore
elettronico, con gli echi e le ripetizioni, con gli sdoppiamenti e con
le musiche, con la voce di Toti che recita i versi di Majakovskij e i
propri, in cui si cantano l’incanto e il disincanto, le utopie e le
disillusioni. «Il vecchio sole rosso domani ancora è non ancora?…Perché i
sogni dei poeti restano sogni…e noi sogniamo ancora gli stessi sogni ma
noi adesso sappiamo che il sole rosso è solo un trucco elettronico…il
sole rosso è solo un trucco elettronico?»
La «Trilogia
majakovskiana», realizzata in parte grazie alle attrezzature e con i
tecnici della sede Rai di Milano, è illuminante non solo nel percorso di
Gianni Toti ma nel contesto delle arti elettroniche in Italia: l’autore
vi dispiega una serie di effetti fino ad allora non esplorati
compiutamente (o del tutto ignoti) in ambito televisivo, dal mirror allo
strobo, dal mosaico all’intarsio a scontornamenti, coloriture,
rovesciamenti; insieme a effetti sonori di alterazione, ma ricorrendo
anche allo stop-motion di tradizione cinematografica e a scritte
sull’immagine. L’idea di Toti è chiaramente quella di rileggere e
ricreare le utopie linguistiche e poetico-politiche delle avanguardie
storiche con la complessità consentita dalle incessanti metamorfosi
elettroniche, più versatili e caleidoscopiche di quelle cinematografiche
(pure amatissime: l’opera di Toti è fittamente intessuta di richiami al
cinema di ogni epoca), ricche di possibilità di intrecci, confronti,
conflitti, simultaneità.
Linguaggi transmentali come lo Zaùm di
Chlébnikov, poeta a cui Toti dedicherà il suo ultimo lavoro prodotto
dalla RAI, Squeezangezaùm, 1989, titolo di sapore futurista che assembla
richiami a Chlébnikov e nomi di effetti elettronici, come appunto lo
Squeezoom. «Lirica era l’esistenza ancora, nessuno era autore di niente e
tutti autori di tutto» dice la voce di Gianni Toti in Incatenata alla
pellicola. Fra quelle utopie c’era anche quella di un cinema che
riattivasse e capovolgesse sguardi e pensieri contro la logica dello
spettacolo e del profitto («il cinema è un atleta», scriveva
Majakovskij) e poi quella di un video (il cuore di Tèlema, appunto)
capace di raccoglierne le eredità. Ha funzionato, il sole elettronico?
La
RAI non ha mai mandato in onda la «Trilogia majakovskiana», né gli
altri lavori di Toti. Tanto che lui negava, polemicamente, di aver mai
lavorato per la Sperimentazione Programmi.
E intanto Majakovskij e
Lili Brik nei videopoemi a loro dedicati si guardano all’infinito,
«verso quell’avvenire, dice ancora Toti, che non può dirsi avvenuto…
verso l’in-avvenuto…»