il manifesto 8.11.17
Musei romani, il pubblico rarefatto
Consumi
culturali. La capitale e i suoi templi d'arte non riescono a essere
accattivanti e a attirare fruitori, come accade a Milano, che può
contare sul quadruplo dei visitatori
di Alessandro Monti
Benché
non esaustivo delle potenzialità museali, il numero delle presenze
nelle sale espositive è un indicatore obbiettivo del gradimento
dell’offerta effettiva del museo, indispensabile per indagare sulla
disaffezione del pubblico e apprestare rimedi. Come nel caso dei luoghi
d’arte del Novecento e di questo secolo che a Roma, stando ai biglietti
emessi, vedono diminuire i visitatori. Nell’ultimo quadriennio,
l’insieme degli ingressi alla Galleria nazionale d’arte moderna e
contemporanea (Gnamc), al Maxxi, al Macro, al Palaexpo, alla Galleria
d’arte moderna (Gam) e museo Bilotti, è sceso di oltre un quarto: da
957mila del 2012 a 701mila del 2016, nonostante novantasei mostre e
migliaia di eventi.
Non si tratta di una tendenza generalizzata.
Milano, a esempio, ha un’elevata e crescente attenzione all’arte moderna
e contemporanea sollecitata anche dalla vulcanica presenza della
Triennale di design (741mila ingressi nel 2016). Per soddisfarlam il
Comune, accanto al Pac, ha rilanciato Museo del ‘900 e Palazzo Reale e
aperto il Mudec; mentre i privati hanno ampliato spazi espositivi
(Pirelli Hangar Bicocca) e creato musei: Gallerie d’Italia (Intesa
Sanpaolo) e Fondazione Prada. Così nel 2016 il totale dei visitatori è
aumentato di due terzi rispetto al 2012, da 1.742mila a 2.826mila: è
oltre il quadruplo di quello di Roma.
LE RAGIONI DEL RAREFARSI
delle presenze nei musei romani, più che repentini mutamenti di gusto e
di sensibilità estetica, riflettono deludenti esperienze di visita su
cui pesa l’intreccio di molteplici fattori. Tra quelli esogeni, spicca
la progressiva disarticolazione dell’assetto strutturale dei musei della
capitale. L’apertura del Maxxi nel 2010 ha rotto un equilibrio
consolidato e innescato un’accesa competizione sul piano dell’effimero
che non ha dilatato ma ristretto il bacino d’utenza.
Così, dopo il
boom del 2011 trainato dalla curiosità per l’edificio progettato da
Zaha Hadid (450mila visitatori), i biglietti d’ingresso sono crollati a
un terzo (168mila nel 2016). Il nuovo museo non ha creato nuovo pubblico
ma ha finito per sottrarlo al Palaexpo, più che dimezzato nell’ultimo
quadriennio (da 335mila del 2012 a 165mila del 2016), alla Gnamc, meno
18% (da 165mila a 135mila) e al Macro, meno 36% (da 252mila a 162mila)
senza più sostegno dell’Enel (passato al Maxxi). Sulla caduta di
interesse del pubblico hanno influito anche fattori endogeni:
l’inadeguata valorizzazione delle collezioni permanenti, la modesta
qualità dei servizi aggiuntivi non meno che la sovrapposizione di
attività tra musei civici e statali.
IL NECESSARIO coordinamento
tra le varie istituzioni è reso difficoltoso dalle diverse modalità di
gestione: nelle sedi comunali si va dall’«Azienda Speciale» (Palaexpo)
ai «musei-ufficio» con servizi affidati a Zètema srl (Macro, Gam,
Bilotti), mentre in quelle statali si va dalla fondazione con ampia
discrezionalità e ridotta vigilanza (Maxxi) all’«autonomia speciale»
della Gnamc.
Gli strumenti per suscitare rinnovata curiosità sono
noti ma poco praticati. Innanzitutto un allestimento accattivante degli
spazi museali, concepito non per soddisfare i capricci estetici del
direttore ma per favorire la conoscenza dei fenomeni creativi, la
comprensione dei loro messaggi, la capacità critica degli utenti
aiutandoli a distinguere vere opere d’arte da costruzioni mercantili.
Combinato alla gratuità degli accessi potrebbe riavvicinare il pubblico
perduto e oltre. Soprattutto se gratificato da incontri con artisti,
frequenti visite guidate dai curatori, personale di accoglienza
preparato. La trasparenza della gestione, con un maggior coinvolgimento
delle «Associazioni amici dei musei» nella scelta delle opere da
acquistare e delle altre iniziative da sostenere con forme di
crowdfunding, è cruciale.
LA GIUNTA CAPITOLINA, guardando anche
all’esperienza site-specific del museo dell’Altro e dell’Altrove di
Metropoliz (Mamm) nella ex fabbrica occupata di via Prenestina,
prospetta un «Polo per l’arte contemporanea» con al centro il Macro
sottratto alle «cure» di Zètema e affidato a quelle del Palaexpo,
svuotato dalle collezioni (oltre 1600 pezzi) e ripensato nel rapporto
del pubblico con gli artisti e le loro creazioni in loco. Una scelta
però non in linea con lo statuto del Palaexpo (non contempla la gestione
stabile di opere) e che rischia di smobilitare una struttura museale di
alto livello. Meglio limitarsi alla sede espositiva del Macro a
Testaccio.
Più risolutiva appare l’estensione all’arte moderna e
contemporanea degli accordi tra Stato e Comune per la gestione unitaria
dell’area archeologica centrale previsti dalla «Legge su Roma Capitale»,
finora inapplicata. Il coordinamento condiviso della programmazione
dell’attività di musei statali e comunali, accompagnato agli
accorgimenti indicati, potrebbe far invertire la tendenza al declino dei
visitatori riequilibrando il confronto con Milano, ora capitale
indiscussa dell’arte del novecento e del XXI secolo.
SCHEDA, RAPPORTO FEDERCULTURE SUI CONSUMI CULTURALI
Nonostante
la flessione nei musei della capitale, secondo il 13/mo Rapporto
annuale di Federculture, i consumi culturali delle famiglie italiane –
teatro, archeologia, luoghi d’arte, cinema – sono cresciuti attestandosi
a un +7%, recuperando in tre anni circa quattro miliardi dopo il crollo
vertiginoso del 2013. Ci sono più spettatori in platea e galleria
(+2%), persone che tornano a preferire il grande schermo del cinema al
divano di casa (+5%), molti che si aggirano per i siti archeologici del
nostro paese e altrettanti che visitano mostre (+4%). Anche il turismo
ha ripreso colorito e per le vacanze le famiglie italiane hanno
investito denaro (+21,1%). Permangono però dei buchi neri. Il più grave è
che gli italiani continuano a essere dei pessimi lettori. Il 40,5%
della popolazione legge un libro l’anno e solo l’8,3% lo fa in ebook. La
flessione è inesorabile: nel 2010, quello sparuto «libro all’anno» lo
sfogliavano almeno il 46,8% dei cittadini. Per le famiglie a basso
reddito, poi, l’esclusione dal consumo culturale ha percentuali
altissime: circa il 50% di loro non ha accesso a nessuna delle attività
sopra elencate.