il manifesto 7.11.17
La maledizione dell’Idroscalo, dove Casa Pound sogna l’Alba Dorata
Estrema
destra. Si è insediata pian piano da queste parti, dando corpo a
quell’idea di «sindacato del popolo» che prende forma nella
distribuzione di generi alimentari alle famiglie italiane ma anche nella
continua denuncia delle malefatte di immigrati e rom
di Guido Caldiron
Chissà
cosa avrebbe detto Pasolini. Lui che nel 1962, per rispondere a due
lettori di Vie Nuove preoccupati della diffusione dell’estrema destra,
scriveva «non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue
forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il
fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana,
socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società».
Chissà cosa avrebbe detto camminando oggi per le strade di Ostia,
emblema non tanto dell’affermazione elettorale di Casa Pound – a vincere
davvero nel municipio del litorale romano è stata l’astensione – quanto
piuttosto della sua piena «normalizzazione».
Per una sorta di
tragica ironia, proprio la strada da cui i fascisti del terzo millennio
hanno dato l’assalto alla città-quartiere, via Pucci Boncampi, dove
hanno aperto prima un pub e quindi una sede, si trasforma dopo qualche
isolato in via dell’Idroscalo. E dai locali in cui si elogia «il buono
del fascismo» conduce al monumento che ricorda l’assassinio del poeta,
il 2 novembre del 1975, che lo scorso anno fu danneggiato da un’azione
rivendicata da altri fascisti, quelli di Militia.
L’Idroscalo è un
punto di arrivo, all’estremità nord di un lungomare che da allora si è
riempito di stabilimenti, ristoranti, locali. Neanche il porto turistico
c’era ancora, a quell’epoca. Yacht e scafi da crociera ancorati e poche
centinaia di metri dalla striscia rossiccia e ininterrotta delle case
popolari dell’Ater costruite in mezzo alla campagna e dai palazzi di
Nuova Ostia, quelli stretti intorno a piazza Gasparri, vuota, si direbbe
quasi abbandonata, con i giardinetti malconci che montano la guardia al
degrado. Lungo l’arco di un paio di chilometri qui Ostia si è rifatta
il trucco e la movida un tempo vincolata alla riviera sud di quello che
nel 1940 fu inaugurato come Pontile del Littorio, si è spalmata a pochi
passi dalla battigia. All’interno però, poco o nulla è cambiato. Decine
di migliaia di persone strette in un quadrilatero d’asfalto che corre
parallelo al mare, quasi una città nella città, il cuore popolare del
Lido.
«Noi, periferia di nessuno», ha scritto sui suoi depliant un
candidato indipendente. E in effetti più che le periferie urbane della
Tuscolana o della Casilina, questa parte di Ostia potrebbe far pensare a
certi quartieri di Bari o di Pescara, forse di Napoli. Il «mare
d’inverno» della canzone, quello dove «non viene mai nessuno a
trascinarmi via».
Se il confine tra politica e malaffare è spesso
molto sottile, qui a volte è scomparso del tutto, con il municipio
sciolto per mafia, l’ex presidente Pd condannato in primo grado, e due
clan, i Fasciani e gli Spada che stando alle cronache giudiziarie, hanno
cercato di spartirsi i soldi facili arrivati con la gentrificazione. E
proprio un membro della famiglia Spada alla vigilia del voto ha postato
su facebook quello che aveva tutta l’aria di essere un messaggio di
sostegno a Casa Pound.
Tra abbandono e crisi dei partiti
tradizionali, qualcosa è però cambiato anche da queste parti. Lo si
capisce subito percorrendo a ritroso le vie del quartiere dal centro
verso l’Idroscalo. I «faccioni» di Luca Marsella, il candidato di Casa
Pound a presidente del municipio, e di Carlotta Chiaraluce, capolista di
Cpi, incartano letteralmente i muri del mercato popolare di via Orazio
dello Sbirro. Lungo le strade del quartiere ci sono solo loro e lo
sguardo di Pietro Malara, «nelle forze dell’ordine da oltre 20 anni» e
candidato di Fratelli d’Italia che occhieggia con i suoi flyer da quasi
tutte le cassette della posta.
Il comitato elettorale di Monica
Picca, insegnante di Fiumicino e candidata-presidente per il partito di
Giorgia Meloni, è lì a due passi, non lontano da un altro mercato dove
gli ambulanti bengalesi vendono i cd dei neomelodici napoletani che
spopolano anche qui. Picca andrà al ballottaggio con la candidata del
M5S, ed è probabile che allora i voti raccolti da Marsella peseranno
ancora di più. Del resto i punti di contatto tra «il centro-destra» e
«l’estrema destra» non mancano. «Senza mafia, nomadi, immigrazione
selvaggia e degrado», annuncia il programma di Picca, che promette di
«fare altrove i centri d’accoglienza». «Penseremo prima agli italiani»,
«impediremo i mercatini rom abusivi e rimuoveremo ogni insediamento di
stranieri», replica quello di Marsella.
Pressoché nel vuoto, Casa
Pound si è insediata pian piano da queste parti, dando corpo a
quell’idea di «sindacato del popolo» che prende forma nella
distribuzione di generi alimentari alle famiglie italiane ma anche nella
continua denuncia delle malefatte di immigrati e rom. Di questo
modello, che si ispira esplicitamente ai greci di Alba Dorata, la
chiusura della campagna elettorale ha però mostrato anche l’altro volto,
quello che accompagna il «sociale».
In una piazza del Villaggio
San Giorgio di Acilia, un agglomerato di case popolari sorto nel 1948
per accogliere gli esuli giuliano-dalmati e che nel frattempo è stato
riacciuffato dalla città con una serie di casette a schiera costruite
tutto intorno, dove al tramonto piccoli cani abbaiano nervosi dietro
grandi cancelli, accanto ai candidati del X municipio c’era anche il
«vicepresidente nazionale di Casa Pound» Simone Di Stefano. Dopo aver
ammonito quelli che dipingono gli appartenenti al movimento come dei
«mostri», Di Stefano ha lamentato la presunta disinformazione operata
dalla stampa spiegando come «oggi sul Fatto c’è uno che racconta che
quelli di Casa Pound gli menano ogni giorno… eppure è ancora vivo». Il
tutto prima di annunciare come dopo Ostia Cpi guardi al parlamento. Per
fare cosa? Più o meno questo: «Avere 10/15 eletti pronti a prendere per
la cravatta i traditori della patria e cacciarli via a pedate».
Quando
nel 2012 i deputati di Alba Dorata entrarono per la prima volta nel
parlamento di Atene lo fecero marciando in formazione militare e
ammonendo i presenti: «State attenti, stiamo arrivando. I traditori
della patria devono cominciare ad aver paura».
A Ostia, come in
tanti altri territori della crisi, il vecchio fascismo si veste del
«prima gli italiani» per tentare di trasformarsi in senso comune. Forse
Pasolini ci aveva visto giusto.