il manifesto 7.11.17
Buzgalin: «Fu vera rivoluzione, restano nazionalismo e nostalgia acritica»
Ottobre
rosso. Intervista a Alexander Buzgalin, organizzatore della tre-giorni
internazionale tenutasi a Mosca in questi giorni sull’Ottobre rosso:
«Avvenne dentro una guerra, morte e fame erano la normalità, e in un
paese arretrato»
di Yurii Colombo
MOSCA
Alexander Buzgalin è stato l’infaticabile organizzatore della tre giorni
internazionale di studio e dibattito tenutasi a Mosca tra il 3 e il 5
novembre sulla rivoluzione d’Ottobre. Luciana Castellina, nel
ringraziarlo per la straordinaria iniziativa, ha espresso la speranza
che incontri come questi a Mosca si possano tenere ogni anno, per creare
un collegamento permanente e sinergico tra le sinistre del mondo e
quella russa.
Buzgalin, 63 anni, membro dell’ultimo Comitato
Centrale del Pcus gorbacioviano, professore all’Università Lomanosov di
Mosca, fondatore del movimento «Alternative» e della corposa rivista
omonima quadrimestrale, si dichiara ancora orgogliosamente marxista e
comunista. E malgrado i tanti impegni, trova il modo per incontrarci.
Siamo al 7 novembre, al centenario dell’Ottobre. Cos’è rimasto di quella esperienza?
Prima
di tutto va detto che fu una vera rivoluzione e non un semplice
capovolgimento politico. L’Ottobre cambiò la struttura economica, cambiò
gli stili di vita, la morale, i parametri di riferimento dell’intera
esistenza degli uomini. La rivoluzione produsse un uomo nuovo, l’«homo
sovieticus». Alexander Zinoviev ha scritto una straordinaria parodia
dell’Urss ma anche lui è stato costretto ad affermare che allora venne
forgiato una sorta di «uomo nuovo». Venne dimostrato, non che poche
decine di persone, ma decine di milioni possono lavorare per degli
obbiettivi sociali, che il bene comune può essere più importante di un
portafoglio gonfio o una bella macchina. Gli uomini non si sentirono più
oggetti ma soggetti della loro storia. Oggi al massimo a cui siamo
abituati a pensare è il raggiungimento di qualche riforma, mentre nel
1917 si produsse un mutamento qualitativo: è una bella differenza.
Ma ciò che ne seguì fu molto contraddittorio e tragico…
Una
rivoluzione è qualcosa che nasce a partire da contraddizioni, non
possiamo sceglierne le condizioni. La rivoluzione russa si sviluppò
dentro una guerra dove morte e fame erano la normalità e in un paese
arretrato. Non avvenne in condizioni ideali. In questo quadro le
conseguenze della rivoluzione furono contraddittorie. Non si poteva
pensare che ne sarebbe sorta una società «comunista perfetta».
In
quel quadro non ci furono alternative: o la controrivoluzione bianca in
Russia e poi il fascismo in Italia, Germania, Spagna e dappertutto,
oppure quella cosa che fu lo stalinismo con i suoi campi di
concentramento, i suoi delitti, le sue stragi, che però lasciò aperta
una possibilità con la vittoria sul nazifascismo in Europa nella Seconda
Guerra Mondiale.
Oggi da più parti si condanna la rivoluzione russa perché fu violenta…
Nell’Ottobre
i soviet – e non i bolscevichi – nel 80% dei governatorati della Russia
presero il potere pacificamente. Nell’altro 20% ci furono delle
violenze, ma assai limitate. In seguito i vari Kerenskij dopo aver dato
la loro parola di ufficiali che non sarebbero insorti, si organizzarono
con le guardie bianche, ma non avrebbero comunque combinato nulla se non
fossero venuti loro in aiuto i governi stranieri. Per cui le cose
andarono diversamente dalle vulgate che circolano ampiamente. Se si
vogliono rivoluzioni pure e non-violente allora è meglio sedersi sulla
riva del fiume della storia e aspettare. Cosa si sarebbe dovuto fare in
Cile nel 1973, quando Pinochet rovesciò il governo socialista di
Allende? Arrendersi e farsi accompagnare pacificamente nello stadio di
Santiago o resistere armi alla mano?
Ormai gli archivi sovietici
sono aperti da un quarto di secolo. A che punto siamo con la ricerca
storica sull’Ottobre e sulle sue conseguenze?
Siamo messi male. Ci
sono accademici che hanno fatto solo la conta dei morti mettendo in un
solo sacco le vittime della repressione, della guerra civile, delle
carestie, della Seconda guerra mondiale attribuendole tutte a Stalin.
Questo è un metodo ovviamente poco serio di fare storia.
Dall’altra
c’è stato storiograficamente un recupero di Stalin: si è scoperta una
sua certa vena intellettuale, si è enfatizzato il suo ruolo di statista,
si è cercato di giustificare le repressioni come «necessarie» contro
molti nemici del paese. Si sta cercando di far passare l’idea che la
Russia ha sempre avuto, e sempre avrà, bisogno dell’ «uomo forte» viste
le dimensioni del paese e la pluralità di culture. Per cui viva gli Zar,
viva Stalin e viva Putin. Una visione che accomuna purtroppo tanti
storici sia a destra sia a sinistra.
Per concludere con il presente, qual’è la situazione attuale della sinistra russa?
Non
così tragica come sembrerebbe a prima vista. La maggioranza della
popolazione ritiene un valore fondante l’uguaglianza e vorrebbe uno
forte welfare state. Se si esclude forse la «questione Lgbt» la
maggioranza dei russi è «naturalmente» di sinistra. Ciò viene
rappresentato politicamente prima di tutto dal Partito comunista di
Zjuganov e da «Russia Giusta». Purtroppo questi partiti sono
sciovinisti, alimentano una nostalgia acritica per l’Urss, e vorrebbero
in politica estera una Russia «imperiale».
Ma la gente non gli
crede, percepisce che una volta al potere non si scontrerebbero con le
oligarchie, con i potentati corrotti, ecc. I russi attendono una
alternativa al potere attuale che sappia rischiare, che sia pronta ad
andare in galera per le sue idee. E non è il caso degli attuali partiti
della sinistra e dell’opposizione in generale.