il manifesto 7.11.17
La Rivoluzione
1917-2017. Un secolo è
passato dall’Ottobre rosso. Dal 7 novembre in edicola la cronaca di
quelle grandi giornate dall’«inviato» del manifesto nel 1917
Aderire o non aderire? La questione non si pone per me. È la mia rivoluzione.
Ottobre. Vladimir Majakovskij
In edicola dal 7 novembre una rivista di 128 pagine
Un secolo è passato dalla rivoluzione russa del 1917.
Quando,
ormai più di un anno fa, pensavamo a come celebrare il peso di quegli
eventi non immaginavamo ancora che la lunga iniziativa editoriale del
manifesto, qui raccolta, sarebbe stata pressoché un unicum nella
pubblicistica italiana.
Con tutta evidenza, quella eredità e
quella parabola storica sono un rimosso per la politica e la cultura del
nostro paese. Non così all’estero, dove nel corso di quest’anno ci sono
state mostre, discussioni e convegni, sia sulla sua portata storica che
artistica.
La lunga rivoluzione russa che iniziò nel febbraio del
‘17 non solo è stata un accadimento che ha sconvolto il secolo scorso
ma anche – e oggi lo si vede bene – una fonte di imbarazzo per il
presente.
Come un fuoco d’artificio troppo carico di ambizione e
fallimento. O un improvviso colpo di fucile che mancò il bersaglio.
Eppure non fu così. Non è così.
Decidendo il piano editoriale di
questa cronaca a puntate, fin dall’inizio volevamo evitare di
rinchiudere quella rivoluzione nel sarcofago della storia o trasformarla
in una statua per la retorica. O peggio, recuperarla come il fossile di
un grottesco brontosauro politico.
Abbiamo tentato qualcosa di
diverso, di più modesto e di arrischiato al tempo stesso, qualcosa che
rispecchiasse i limiti ma anche l’immediatezza del lavoro di un
quotidiano politico come il nostro.
Abbiamo tentato di raccontarla
come un evento del presente, meno storia e più cronaca, usando
l’espediente letterario di un alter ego giornalistico interpretato da
più autori che, grazie alla macchina del tempo, potesse pubblicare sul
manifesto di oggi il racconto in presa diretta delle giornate di cento
anni fa.
Lo pseudonimo di Leone Levy doveva nascondere il narratore e far emergere la pura narrazione.
Ma
Leone Levy siamo anche noi lettori, incuriositi spettatori di quegli
sconvolgimenti. E grazie agli scrittori, ai giornalisti e agli
intellettuali che lo hanno interpretato, quella grande rivoluzione del
‘900 è scesa dal piedistallo ed è tornata uomo, donna, soldato, operaio,
generale, guardia rossa, rivoluzionario, ambasciatore, contadino, spia.
In
due casi soltanto abbiamo deciso di farci da parte e lasciar parlare
veri testimoni dell’epoca. Con la cronaca inedita del principe romano
Scipione Borghese della rivoluzione di febbraio e, soprattutto, con le
pagine dell’americano John Reed sui giorni «sconvolgenti» dell’Ottobre.