il manifesto 3.11.17
Una democrazia che ragiona sui suoi principi
Scaffale.
Una serie di libri dedicati alla Costituzione italiana, per Carocci
editore, in cui storici, teorici, giuristi di diversa formazione
rileggono i suoi articoli
di Gaetano Azzariti
È
certo che il prossimo anno non si mancherà di festeggiare il
settantesimo compleanno della costituzione, entrata in vigore il 1
gennaio 1948. Con il rischio, implicito in ogni ricorrenza, di assistere
a stucchevoli discorsi di circostanza, magari espressi in malafede da
chi, in cuor suo, vorrebbe porre fine all’anomalia costituzionale
italiana. L’anniversario può però essere anche un’occasione per
discutere dei principi fondamentali che sostanziano la nostra
democrazia, per tornare a riflettere su quel particolare assetto
politico-sociale che è stato definito dai nostri padri costituenti e che
oggi appare in forte sofferenza.
POTREMMO COSÌ finalmente
prendere sul serio la costituzione uscendo dalla retorica che di recente
ha caratterizzato il suo uso troppo spesso prevalentemente strumentale.
Se, dunque, vogliamo veramente onorare la ricorrenza dovremmo auspicare
meno eventi spettacolari e più studi ponderati.
Tra le iniziative
che si propongono di guardare ai contenuti non fermandosi alla
celebrazione si segnala quella dell’editore Carocci che sta pubblicando
una serie di agili volumi, sotto la direzione di Pietro Costa e
Mariuccia Salvati, dedicata ai «principi fondamentali», i primi dodici
articoli della nostra costituzione. I primi quattro sono già in
libreria, gli altri otto saranno disponibili entro febbraio.
GLI
AUTORI DEI VOLUMI sono storici, teorici, giuristi di diversa formazione.
Di conseguenza sono indotti ad esaminare ciascuno in base al proprio
specifico approccio disciplinare i diversi principi contenuti nei
singoli articoli separatamente indagati, eppure alla fine emerge un
disegno fortemente unitario. È la forza attrattiva e unificante della
costituzione che finisce per prevalere. Anzi propri la diversità
d’analisi mostra con ancor maggiore evidenza come ciascun articolo,
anche se considerato isolatamente, finisca per rappresentare il
microcosmo del sistema complessivo e si collega senza soluzioni di
continuità con gli altri, in un susseguirsi di principi che vanno a
disegnare un modello di «democrazia sociale» coerente e da tutti
accolta.
COSÌ, HA RAGIONE Nadia Urbinati quando rileva che nelle
ventiquattro parole del primo articolo della costituzione «sono
contenute le premesse di tutti gli articoli che seguono». Ciò, peraltro,
non contrasta con la diversa affermazione di Maurizio Fioravanti, il
quale, commentando il secondo articolo afferma che esso contiene «in
forma sintetica la costituzione intera». Neppure si oppone
all’affermazione di Mario Dogliani e Chiara Giorgi, i quali rilevano
come il principio d’eguaglianza contenuto nel terzo articolo della
nostra costituzione abbia «un valore eccedente» che vale a definire un
progetto politico che trova il suo svolgimento in tutte le disposizioni
del testo costituzionale.
Infine, è Mariuccia Salvati a rilevare
come la «direzione di senso» cui è chiamata a seguire la nostra
democrazia costituzionale per sviluppare coerentemente il proprio
modello normativo non può che partire dalla figura complessa del
lavoratore-cittadino-essere umano, in un intreccio di principi
costituzionali.
Proprio questa omogeneità del disegno rappresenta
il primo dato che dovrebbe far riflettere tutti coloro che immaginano di
poter «fare a fette» la nostra costituzione, cambiandone
disinvoltamente parti intere, sostenendo che non per questo si rischia
di trasformare nel profondo l’assetto della nostra democrazia. Quanti
vuoti argomenti sono stati utilizzati per cercare di rassicurare sulla
permanente fedeltà ai principi, anche nei casi in cui venivano travolti
decine di articoli del testo costituzionale.
La costituzione è un
insieme unitario. Il che non vuol dire impossibilità del mutamento
(l’articolo 138 lo prevede espressamente), ma impone ogni volta di
valutare l’impatto complessivo del cambiamento preteso. Correggere una
costituzione non è impresa meno impegnativa che scriverla per la prima
volta, spiegava Aristotele. Il revisionismo italiano si è
caratterizzato, invece, per la sua improvvisazione. Nessun disegno di
civiltà, solo ragioni di breve momento hanno giustificato le «grandi
riforme costituzionali».
Se volessimo allora riportare con i piedi
per terra la riflessione sul mutamento costituzionale dovremmo tornare a
ragionare sui principi, chiarendo anzitutto quali essi siano.
Scriveva
Costantino Mortati che per identificare l’ideologia accolta dalla
nostra costituzione nei suoi elementi essenziali, per giungere
all’esatta comprensione di quella particolare forma di democrazia
(«sociale») che in essa si riflette, basta prendere in considerazione i
primi cinque articoli della costituzione. Noi – in base alla serie di
volumi che qui si presenta – saremmo più indulgenti e ricomprendiamo
tutti i dodici principi fondamentali indicati in Costituzione; persino
quello dedicato alla bandiera, che sottende una certa visione della
nazione intesa come «patriottismo costituzionale» che ha un suo
significato tutt’altro che banale. Si conferma comunque che è in questi
pochi ma fondamentali articoli che si definiscono i principi che devono
condizionare ogni interprete, ed è ad essi che bisogna risalire per
superare le incertezze o colmare le lacune che dovessero riscontrarsi
nelle leggi. Tra coloro che sono assoggettati a quest’obbligo,
specificava Mortati, in primo luogo vi sono le forze politiche.
INSEGNAMENTO
PREZIOSO, quanto mai disatteso. Se solo provassimo a ragionar per
principi, anziché per convenienze, potremmo sperare in una Repubblica
democratica (art. 1) che ritorni a garantire i diritti inviolabili (art.
2), assicurando in tal modo la dignità sociale nonché l’eguaglianza
delle persone (art. 3), promuovendo inoltre le condizioni per rendere
effettivo il diritto al lavoro (art. 4). Basta leggere questi primi
quattro articoli per comprendere quanto impegno ci vorrebbe per attuare
la nostra democrazia costituzionale. Risuonano ancora forti le parole di
Pietro Calamandrei sulla costituzione come «rivoluzione promessa» che è
ancora tutta davanti a noi. Dopo settant’anni chi vuole cambiare
radicalmente lo stato di cose presenti sa dove guardare.