il manifesto 2.11.17
Il rischio di una seconda guerra civile americana
di Guido Moltedo
In
una città dove ormai solo il 51 per cento dei suoi abitanti parla
inglese a casa e dove sono parlate centinaia di lingue e dialetti d’ogni
dove e d’ogni tipo, una città in cui la prima religione è di gran lunga
quella cattolica, praticata da oltre il 60 per cento dei suoi abitanti,
è logico che il suo sindaco respinga con la massima fermezza il
tentativo di «politicizzare» la terribile vicenda che ha insanguinato la
metropoli americana nel giorno di Halloween.
«Politicizzare» nel
senso di criminalizzare chi arriva in America da paesi lontani, che è
l’essenza della storia di questo grande paese e fonte primaria della sua
forza.
Criminalizzare la nuova immigrazione, non più europea e
bianca com’era in gran parte del Novecento, ma oggi proveniente dal sud
del mondo, criminalizzare specie gli immigrati fedeli a un credo che,
ormai, giorno dopo giorno, diventa sinonimo di propensione al
terrorismo, se non di terrorismo tout court.
Donald Trump,
coerentemente con il punto centrale della sua piattaforma elettorale, ha
colto al volo l’opportunità offertagli dal gesto insano compiuto da
Sayfullo Saipov per riprendere il filo logorato della sua relazione con
l’elettorato bianco arrabbiato – la sua base elettorale – rilanciando la
sua offensiva xenofoba, con l’occhio rivolto alle elezioni di medio
termine.
E ha trovato una buona cassa di risonanza nel Partito
repubblicano, un partito allo sbando e terrorizzato dal voto del 2018,
privo di idee ma adesso galvanizzato dal rilancio dell’idea-forza del
presidente tesa a rimotivare il blocco elettorale che lo elesse e che,
con i suoi voti, potrebbe rendere possibile il mantenimento, ora a
rischio, della maggioranza al senato e alla camera da parte del Grand
Old Party.
Dopo l’11 settembre George W. Bush sentì l’urgenza di
chiamare a raccolta e all’unità il popolo americano e sei giorni dopo
fece visita alla moschea di Washington dove pronunciò un discorso
elevato di rispetto per l’islam e di messa in guardia da ritorsioni
verso gli americani di origine araba e musulmani. Quello che avvenne
dopo fu altra cosa, e in qualche misura quel che è successo ieri va
anche collegato alla follia della guerra irachena lanciata da Bush, ma
ecco, perfino un presidente come lui considerava intangibile il
principio fondativo dell’America, terra di immigrati e mosaico in
divenire di tante comunità, un principio evidentemente allora messo a
rischio dall’attacco alle torri gemelle.
Nell’America di Trump
accade che il suo massimo collaboratore, John Kelly, il capo dello staff
presidenziale, affermi recentemente che la Guerra Civile poteva essere
evitata se le due parti in conflitto avessero cercato un «compromesso».
Su cosa? Sulla schiavitù praticata dal Sud?
Si capisce che questo
continuo coccolare l’elettorato estremista bianco sia l’unica vera cifra
dell’amministrazione Trump e della maggioranza repubblicana, con il
rischio, reale, che si vada verso una seconda guerra civile americana.
Ecco
perché il sindaco di New York Bill de Blasio, il governatore dello
stato di New York Andrew Cuomo, il senatore dello stato Chuck Schumer,
che è anche il capogruppo democratico al senato, hanno sentito l’urgenza
di replicare immediatamente e unitariamente al gioco pericoloso di chi
cerca consensi alimentando conflitti tra le comunità e così spaccando
l’America, con un’intenzionalità che deve far paura.
Va dato atto
ai dirigenti democratici di avere sostenuto con fermezza una posizione
politica che non è facile neppure per loro, in un paese intossicato
dalla propaganda xenofoba di media potenti, come Fox, e da siti come
Breitbart, un paese dove da una parte c’è la cosmopolita New York,
encomiabile nella sua reazione, dall’altra un’America che ha scelto come
presidente Trump e come maggioranza parlamentare la peggiore destra
repubblicana.
Non può consolare l’ipotesi che questa spinta alla
divisione sia una distrazione momentanea dallo scandalo che monta
intorno alla Casa bianca.
I complottisti potrebbero indagare sulla
coincidenza tra la vicenda di Manhattan e il Russiagate, ma anche
ammettendo che il gesto di Saipov possa addirittura essere stato
pilotato, non dall’Isis, ma da qualcun altro, è del tutto ininfluente
rispetto all’assedio che si stringe intorno alla Casa Bianca.
L’unico
nesso possibile che potrà prodursi, come effetto collaterale della
strage di Halloween, è in un balzo della popolarità, oggi ai minimi
storici, di Trump resa possibile proprio dai suoi sciagurati tweet
xenofobi, un migliore posizionamento che gli consentirebbe di
assecondare addirittura quello che gli raccomanda Steve Bannon ma che
oggi – data la sua debolezza politica – non gli è consentito: licenziare
il procuratore speciale Richard Mueller o almeno tagliargli
drasticamente i fondi necessari per le sue indagini.
E chiudere così il Russiagate.