il manifesto 29.11.17
Mentre Xi sfratta i migranti la Nuova via della seta arriva in Italia
Cina.
A Pechino migliaia cacciati da casa in una campagna di 40 giorni per la
sicurezza e contro i lavoratori migranti. Da Mortara, Pavia, parte il
primo treno per Chengdu a unire Cina e Italia nella Nuova via della seta
di Simone Pieranni
Ieri
è partito il primo treno merci diretto Italia-Cina. Dal terminal
ferroviario del polo logistico integrato di Mortara, in provincia di
Pavia, il convoglio affronterà un viaggio lungo 10.800 chilometri e 18
giorni. A metà dicembre arriverà a Chengdu e poi effettuerà il viaggio
di ritorno.
ALL’ANDATA porterà prodotti italiani, al ritorno
prodotti cinesi. Si tratta dell’ennesimo viaggio su rotaie dalla Cina
all’Europa dopo quello con destinazione Madrid, inaugurato nel 2014, e
quello per Londra, inaugurato a inizio del 2017.
Tutto questo fa
parte del mastodontico progetto della Nuova via della seta (yi dai yi
lu), voluto fortemente da Xi Jinping e inserito nello statuto del
partito comnista al recente congresso: si tratta di un disegno che
coinvolgerà 65 paesi, oltre 4 miliardi di persone a dimostrare la nuova
postura internazionale della Cina. E questa rinnovata determinazione
«globale» cinese sembra avere distratto un po’ tutti da alcuni nodi che
invece animano l’interno della Cina.
A dimostrazione di questo, in
uno strambo gioco temporale, proprio mentre il treno da Mortara
iniziava la sua lunga corsa, a Pechino inizia un terribile vagabondare
di migliaia di lavoratori migranti improvvisamente sfrattati dalle
proprie abitazioni e lasciati con qualche borsa, vestiti ed effetti
personali per strada, proprio nel momento in cui nella capitale cinese
scende l’inverno solitamente gelido.
QUESTA CAMPAGNA di 40 giorni
decisa dal governo per sfrattare i lavoratori migranti da abitazioni,
capannoni industriali, piccoli negozi, i luoghi dove persone con pochi
soldi possono ormai trovare riparo nella costosa Pechino, segue una
tragedia avvenuta una settimana fa. In un quartiere meridionale di
Pechino le fiamme hanno infatti provocato la morte di almeno 19 persone
di cui sette bambini. L’edificio colpito dal fuoco è uno dei tanti dove
vivono i lavoratori migranti: con questo precedente e la volontà di
combattere gli abusi edilizi e per garantire «la sicurezza» ai cittadini
il governo ha deciso dunque di ripulire la città da questi
assembramenti per fare posto a nuove e scintillanti strutture. Pechino,
infatti, per volere della dirigenza dovrà assomigliare sempre più a una
vetrina internazionale dove possano vivere e consumare solo gli
appartenenti alla novella middle class locale. Il problema è che, come
qualcuno ha fatto osservare sui social media, le persone sfrattate e
probabilmente costrette a lasciare la città sono quelle che garantiscono
alla classe media il delivery dei propri acquisti o,ad esempio, lo
scorrazzamento per la città (grazie agli autisti, per lo più migranti);
dopo che la prima generazione di migranti interni si era messa sulle
spalle il miracolo economico cinese, questa nuova generazione è la
manovalanza del boom dell’e-commerce locale.
CONTRO L’AZIONE DEL
GOVERNO centrale di Pechino sono insorti un centinaio di intellettuali
che hanno firmato una petizione contro la «campagna», ma ancora più
rilevante è stata la reazione della popolazione locale e dei media
statali. Non sono mancati esempi e manifestazioni di solidarietà nei
confronti degli sfrattati, mentre la stampa controllata dal partito
comunista, più o meno indirettamente, anziché non riportare quanto
accaduto, come spesso accade, o sostenere la decisione del Pcc, ha
deciso di optare per una critica seppure molto soft.
PERFINO IL
GLOBAL TIMES, quotidiano nazionalista e spesso concorde con le posizioni
più dure del governo, ha ritenuto la campagna eccessiva in questo
momento dell’anno. Agli sfratti, infatti, non è seguita alcuna proposta
sulla sistemazione delle persone cacciate.
Un segnale minimo, ma
importante: la trasformazione della Cina da paese trainato dalle
esportazioni a paese trainato dal mercato interno comporta decisioni
molto complicate: gestire una massa ingente di persone che arrivano
nella capitale alla ricerca di un lavoro e tentare di rimandarle alle
proprie città di origine, provando a sviluppare anche lì mercato
interno, servizi e infrastrutture, potrebbe rivelarsi un problema,
finendo per minare quel «mantenimento della stabilità» che costituisce
il vero mantra «interno» della dirigenza cinese.