il manifesto 25.11.17
«Qui scoprono che non hanno colpa per quello che sono costrette a subire»
Centri
antiviolenza. La maggioranza dei casi conferma gli abusi in famiglia.
Spesso l’uomo che violenta a sua volta ha subito soprusi. L'esperienza
del Cav di Miano
di Adriana Pollice
NAPOLI «In
undici mesi si sono rivolte al Centro antiviolenza di Miano sessanta
donne. Arrivano soprattutto grazie ai servizi sociali oppure attraverso
le forze dell’ordine o le Asl e le parrocchie. Ma ci sono anche donne
che chiamano il numero verde, attivo 24 ore su 24. Gli operatori le
indirizzano al Cav più vicino ma non è una regola rigida, spesso non
vogliono farsi vedere dai conoscenti o hanno paura, soprattutto se
vivono in piccoli centri. In quel caso l’operatore le indirizza in altre
zone. Da noi, ad esempio, vengono anche dall’hinterland, come Casoria o
Quarto» spiega Anna Maria Ambrosio, che dirige la struttura di via
Valente. Si tratta di uno dei cinque Centri antiviolenza del comune di
Napoli, ogni presidio ha in carico due municipalità. Il Cav 3 si occupa
di una vasta area che riunisce sette quartieri della periferia est e
nord della città: Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno;
Piscinola, Marianella, Chiaiano e Scampia, circa 200mila abitanti in
totale, una città nella città (alta evasione scolastica e picchi di
disoccupazione), che fa da cuscinetto con comuni ad alto rischio
camorra, come Marano o Melito.
Il disagio sociale però non spiega
la violenza di genere, diffusa anche nella borghesia, neppure
l’istruzione è un fattore né l’età: «Arrivano ragazze molto giovani così
come ultra cinquantenni, casalinghe con bassa scolarizzazione e
laureate – prosegue Ambrosio -. Le statistiche spiegano che chi ha
subito abusi o ha assistito ad abusi molto spesso diventa poi violento,
ma nel nostro territorio c’è soprattutto un comportamento che si ripete
da una generazione all’altra: mariti, compagni o ex che picchiano la
moglie, la compagna o la donna con cui avevano una relazione. È un
effetto della cultura patriarcale: ricevere uno schiaffo per gelosia o
rabbia è ritenuto un comportamento accettabile e accettato in un sistema
sociale che si regge sulla disparità di ruoli. L’atteggiamento generale
è quello di sopportare».
Le donne che si rivolgono ai Cav
nell’hinterland partenopeo, oltre agli abusi, spesso soffrono per
l’isolamento a cui vengono costrette, rinchiuse nelle pareti domestiche
dove sono controllabili: «Le nostre municipalità sono costituite da
quartieri molto popolari, il reddito è basso, la vita complicata ma c’è
una forte socialità, l’isolamento gioca un ruolo inferiore. Spesso le
donne che arrivano da noi sono aiutate nei primi passi dalla rete di
amicizie che hanno intorno. Rispetto al passato, anche l’atteggiamento
della famiglia sta cambiando: prima i genitori spingevano le figlie al
silenzio, adesso cominciano ad accompagnarle nei Cav. Il sostegno della
famiglia è importante perché, superata la paura del compagno, l’elemento
che tiene comunque le donne prigioniere di rapporti violenti è la
dipendenze economica. Inoltre, il fatto che ci sia un contesto sociale
che le sostiene consente loro di rimanere nel quartiere dove vivono.
Quando non avviene, sono costrette ad allontanarsi».
Non avere un
reddito, né una casa rende difficile liberarsi, soprattutto in contesti
economici ad alta disoccupazione. Nei centri antiviolenza trovano lo
psicologo, l’assistente sociale e il mediatore culturale ma anche
l’avvocato gratuito per le denunce, le cause di divorzio o di affido dei
figli, si cerca anche di indirizzarle verso corsi per il ritorno nel
mercato del lavoro e, in alcuni casi, il sostegno per la creazione di
cooperative. Poi ci sono i consulenti per i gruppi di autoaiuto, in cui
le donne imparano a sostenersi e fare rete: «È importante – conclude
Ambrosio – perché scoprono che non è colpa loro, l’incubo in cui
vivevano non è frutto di una loro mancanza ma è un fenomeno più
generale, che ha a che fare con la distorsione dei rapporti. Le rende
protagoniste di un percorso comune».
Dei 49 i Cav campani, solo
due si occupano di uomini maltrattanti (uno a Napoli, l’altro a
Pontecagnano). Le statistiche raccontano di una regione non ai primi
posti in fatto di abusi di genere. Secondo il rapporto Eures sul
femminicidio, in Campania si è passati da 31 nel 2015 a 16 l’anno
scorso. L’Istituto Demoskopika ha analizzato il quinquennio 2010-2014:
la Campania è le regione italiana con meno violenze sessuali con 47
episodi denunciati. I numeri però salgono se si amplia il raggio agli
episodi di violenza: si passa infatti a 1.162. All’ospedale Cardarelli
di Napoli è attivo il Codice rosa a sostegno delle vittime di abusi: da
gennaio a ottobre 2017, sono stati 144 i casi seguiti, tre riguardavano
minori, nove donne straniere, due hanno denunciato una violenza
sessuale, 96 hanno scelto di seguire il percorso psicologico. Il
Consiglio regionale ieri ha approvato la legge per favorire l’autonomia
personale, sociale ed economica delle donne vittime di violenza e dei
loro figli. Stanziati 100mila euro per il 2018 e 100mila per il 2019.