il manifesto 23.11.17
Fassino incassa il no della lista di sinistra, Pisapia già in affanno
Alleanze.
Fassino: alla nostra disponibilità è stato risposto che oggi non
sussistono le condizioni per un’intesa. Nel pomeriggio alla camera il Pd
affossa il ripristino dell’art.18. Oggi l’incontro con Campo
progressista, ma è incognita Bonino Appello del Prc a Fratoianni: uniti,
serve il coraggio di una svolta.
di Daniela Preziosi, Massimo Franchi
L’esito
è scontato ma Piero Fassino si è preparato con efficienza sabauda,
quando alle 11 di mattina i cinque si siedono nella stanza di Sinistra
italiana a Montecitorio – da una parte con lui il vicesegretario Pd
Martina e Cesare Damiano, dall’altra il capogruppo alla camera di
Si-Possibile Giulio Marcon e la capogruppo di Mdp al senato Maria
Cecilia Guerra – squaderna il suo ipad come se ci fosse davvero una
possibilità di trattare. E comincia a leggere una lista di proposte:
sull’art.18 l’allungamento a 36 mesi dell’indennità, sul welfare il 19
per cento di detrazione per le badanti, il servizio civile universale,
alcuni provvedimenti sul fisco.
Quanto al renzismo passato e
recente, «il passato è passato, serve una coalizione per battere le
destre, vi rendete conto che possono vincere?».
CECILIA GUERRA,
CHE È un’economista, entra nel dettaglio, smonta le «proposte», una a
una. Non c’è solo il passato, c’è anche il presente. «Fra poco in aula
il Pd si prepara a affossare per sempre la modifica dell’art.18», dice
lei. E oltre al passato c’è anche il futuro: «Saresti in grado di
garantire che la campagna di Renzi non sarà al grido sbagliato ’meno
tasse per tutti’?». «Ma quello è solo uno slogan», si spazientisce
Martina. Fassino spiega che fosse per lui «le tasse servono a pagare i
servizi per tutti», ma è chiaro che a Renzi lo slogan piace.
All’uscita,
dopo un ora e mezza di non-dialogo, Giulio Marcon riepiloga: «Non ci
sono margini di intesa con chi in questi anni ha fatto politiche
sbagliate». Poi dà appuntamento all’assemblea di lancio della lista, a
Roma il 3 dicembre: «Grasso sarà il nostro leader».
Ormai è
sicuro, ma il presidente del senato, ancora per due settimane nelle sue
vesti istituzionali, deve dettare una smentita: «Il presidente non ha
sciolto alcuna riserva», il resto sono auspici.
A MONTECITORIO nel
pomeriggio va in scena l’ennesima rottura sinistra-Pd. Ci vuole la
chiamata alle armi estesa a tutta la maggioranza per riportare in
commissione la proposta di legge che ripristina l’articolo 18. Con
l’aiuto anche di qualche voto a destra, la richiesta della relatrice Pd
Titti Di Salvo che sotterra il provvedimento viene approvata con soli 26
voti di scarto.
Se tre giorni fa la discussione era avvenuta in
un’aula deserta, stavolta c’è il pienone fra i banchi del Pd e dei
centristi. Si rivede perfino il falco di Confindustria Piero Bombassei,
parlamentare della fu Scelta Civica montiana che alla camera hanno
faticato a riconoscere, anche per i baffi tagliati. A chiudere il
quadretto confindustriale pensa l’ex capo ufficio stampa – diventato
editorialista della fu Unità – Ernesto Auci, anch’esso parlamentare
centrista.
È il capogruppo dem Ettore Rosato a spiegare «che il
ritorno in commissione è una porta tenuta faticosamente aperta sul
dialogo a sinistra». La scusa non è cambiata: in cambio della reintegra
in caso di licenziamenti illegittimi il Pd offre un semplice aumento
della tassa sui licenziamenti, prevista in forma blanda in legge di
bilancio.
«Qualche mesata in più è offensiva rispetto al diritto
dei lavoratori di vedersi riconoscere il posto di lavoro in caso di
licenziamenti illegittimi», replica Giorgio Airaudo, relatore di
minoranza. «Si è persa un’occasione molto più importante di qualche
appello all’unità dei cosiddetti padri nobili della sinistra», chiosa
Francesco Laforgia, capogruppo Mdp e primo firmatario della proposta.
OGGI
ALLA CAMERA FASSINO incontra la delegazione di Pisapia, Bruno Tabacci,
Luigi Manconi e Ciccio Ferrara. L’accordo è nelle cose, ma il diavolo si
nasconde nei dettagli.
La lista arancione accoglie meglio le
proposte di Fassino, ma deve essere calibrata fra arancioni, verdi,
socialisti e radicali (italiani, che oggi presentano la loro idea di una
lista «+Europa») per non rischiare di non acciuffare il 3 per cento. I
«big» Pisapia e Bonino però non avrebbero intenzione di candidarsi.
E
c’è il problema delle firme: se non si useranno i nomi dei partiti già
presenti in parlamento, dovranno essere raccolte. E c’è il problema di
Alfano: venerdì alla riunione di Ap si prevede una spaccatura, ma il
ministro degli esteri è fra quelli che vogliono l’alleanza con il Pd.
ANCHE
A SINISTRA della sinistra i giochi non sono chiusi. Rifondazione
comunista invia una lettera aperta a Sinistra italiana per chiedere «il
coraggio di una svolta nel segno della ricerca dell’unità con chi le
politiche neoliberiste le ha contrastate», (leggasi non gli ex Pd), e di
riaprire il dialogo anche con i civici del Brancaccio.