giovedì 23 novembre 2017

Il Fatto 23.11.17
Renzi-sinistra: morte di un’alleanza mai nata
La minoranza dem tradisce i bersaniani e vota per l’omicidio del ddl sull’articolo 18
di Wanda Marra

“Quelli della minoranza del Pd vogliono talmente tanto il centrosinistra che lo uccidono ogni volta che possono”. La sintesi la fa Pippo Civati, leader di Possibile, a sera. La Camera ha appena votato per il rinvio in Commissione della proposta di legge di Mdp per modificare l’articolo 18 e il tabellone fotografa il voto unanime praticamente di tutto il Pd. Sono solo 26 i voti di scarto. “Se i coraggiosi si fossero manifestati per una volta (l’ultima volta) avremmo discusso”, commenta ancora Civati.
Finisce così, con una rappresentazione plastica della situazione, una giornata che era iniziata con l’incontro tra Piero Fassino – accompagnato da Maurizio Martina e Cesare Damiano – e Giulio Marcon e Cecilia Guerra, rispettivamente capogruppo di Camera e Senato di Sinistra italiana-Mdp-Possibile. Un incontro al quale tutti erano arrivati con le premesse per una rottura, più che per un accordo. “Finte aperture”, twitta Roberto Speranza, “creando” un hashtag secondo l’abitudine di Renzi. Di “confronto programmatico vero” parla, invece, Piero Fassino. Al netto delle parole usate, le parti non si spostano di un millimetro dalle posizioni di partenza.
Fassino mette sul piatto le offerte. Tra le altre cose: misure “integrative” al Jobs act finalizzate a rendere “più conveniente” il contratto a tempo indeterminato e misure di maggiore tutela in caso di licenziamento, prima di tutto. E poi: “Avvio del superamento del superticket”, oltre alla “volontà” di arrivare all’adozione delle legge sullo Ius soli e sul testamento biologico. Per i suoi interlocutori, l’offerta non è sufficiente: “Siamo fuori tempo massimo, non c’è possibilità di raggiungere un’intesa”, commenta Marcon.
Ma l’analisi è quella di Speranza: “Renzi rivendica le politiche del suo governo, che sono quelle che ci hanno portato a uscire dal Pd. Quindi non c’è la discontinuità necessaria per noi. D’altra parte è naturale che Renzi lo faccia”. Insomma, l’incompatibilità è assoluta e i rimpianti sembrano pochi. La sinistra anti-Pd si prepara alla kermesse fondativa del 3 dicembre e lavora al simbolo. Aspettando Pietro Grasso: il presidente del Senato non può ancora formalizzare la sua discesa in campo per motivi istituzionali. Deve aspettare che Palazzo Madama approvi la legge di Bilancio. Ma l’operazione va avanti. La sinistra è convinta di poter prendere più voti se corre da sola. E pensa di potersi garantire più seggi.
Dal canto suo, Matteo Renzi va avanti nel suo progetto: che è quello di una coalizione light, senza un programma troppo serrato, che permetta al Pd non di vincere le elezioni, ma di essere il primo gruppo parlamentare e casomai di fare le larghe intese dopo le elezioni. Ieri il segretario sul punto si è astenuto dai commenti: “Noi facciamo questo viaggio per discutere dei temi che riguardano gli italiani. Le questioni di natura politica le sta seguendo a Roma per me Piero Fassino e rimetto a lui ogni dichiarazione”.
Stamattina verrà presentata la lista Forza Europa, capeggiata da Benedetto Della Vedova e benedetta da Emma Bonino. Quanto a Fassino, invece, rivedrà Pisapia: il sì di Campo Progressista è dato per scontato a tal punto che Renzi sta pensando a un incontro con l’ex sindaco di Milano lunedì, dopo la Leopolda. Resta il nodo Alfano: nessuna delle liste potenzialmente alleate lo vuole, ma il Pd non pare intenzionato a scaricarlo. Rientrerà nella lista centrista la cui organizzazione Renzi ha affidato a Pier Ferdinando Casini.
Renzi, poi, continua a pensare che una parte di Mdp potrà essere recuperata. Ma la coalizione larga, con tanto di progetto e programma, per la quale si sono espressi negli scorsi giorni pure i padri nobili, Romano Prodi e Walter Veltroni, sembra definitivamente tramontata.