il manifesto 2.11.17
Gentiloni tace sulla strage nello Yemen
di Tommaso Di Francesco
Mentre
il presidente del consiglio Paolo Gentiloni lasciava Riyadh e il
petromonarca Salman per raggiungere Emirati arabi e Qatar, ieri un raid
aereo della coalizione a guida saudita centrava un mercato a Saa’da, nel
nord Yemen, uccidendo 29 persone tra cui molti bambini.
L’occasione
per una presa di distanza dell’Italia dalla guerra che lì si consuma
nell’indifferenza generale e che alimenta il conflitto tra sunniti e
sciiti, e invece temiamo un fragoroso silenzio. E stavolta non è una
speculazione.
Giacché, pochi giorni fa, prima della partenza di
Gentiloni, Amnesty International Italia, nelle vesti del direttore
generale Gianni Rufini, ha scritto al presidente del consiglio un
dettagliata lettera-dossier perché cogliesse l’occasione del viaggio in
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar «per sollevare il tema delle
violazioni dei diritti umani nei tre paesi del Golfo e, più in
generale, di promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà
fondamentali nel contesto delle relazioni diplomatiche bilaterali tra
l’Italia e i tre paesi». R
icordando come le autorità dell’Arabia
Saudita continuino a limitare duramente i diritti alla libertà
d’espressione, associazione e riunione, «arrestando e incarcerando,
sulla base di accuse dalla formulazione vaga, difensori dei diritti
umani, persone che esprimono opinioni critiche e attivisti per i diritti
delle minoranze».
Fra questi, Raif Badawi, condannato a 10 anni
di carcere e a 1000 frustate – 50 delle quali già ricevute in pubblico –
per aver dato vita a un forum online di dibattito su temi politici e
religiosi». Sottolineando come la tortura resti «prassi comune,
soprattutto durante gli interrogatori», perché i tribunali continuano ad
accettare “confessioni” ottenute tramite tortura per condannare gli
imputati in procedimenti giudiziari iniqui, con il ricorso alla pena di
morte anche per reati non violenti e nei confronti di minorenni.
L’Arabia Saudita è tra i primi cinque paesi al mondo per numero di esecuzioni.
Dall’inizio
del 2017 sono state eseguite 100 condanne a morte. E non dimenticando
come le forze della coalizione a guida saudita intervenute nello Yemen
nel marzo 2015 hanno commesso gravi violazioni del diritto
internazionale, compresi crimini di guerra. E denunciando – ecco il
punto – che, nonostante questo, l’Italia abbia scelto di continuare a
fornire alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita sistemi militari e
munizionamento che alimentano il conflitto nonostante diversi rapporti
attendibili dimostrino le gravi e reiterate violazioni delle convenzioni
internazionali su diritti umani e diritto umanitario.
Negli
Emirati Arabi Uniti le autorità continuano a imporre arbitrariamente
restrizioni al diritto alla libertà d’espressione e d’associazione,
detenendo e perseguendo ai sensi di leggi penali sulla diffamazione e
antiterrorismo persone critiche verso il governo, oppositori e cittadini
stranieri. Sparizioni forzate, processi iniqui e tortura e altri
maltrattamenti di detenuti sono prassi comune. Decine di persone
condannate in seguito a processi iniqui negli anni precedenti sono
rinchiuse in carcere, tra queste ci sono molti prigionieri di coscienza.
Tra
questi Ahmed Mansoor, difensore dei diritti umani e noto blogger, già
più volte intimidito, vessato e incarcerato per mano delle autorità, è
attualmente in condizione di sparizione forzata dal 20 marzo 2017, a
rischio di tortura e altri maltrattamenti. E che in Qatar continuano ad
essere imposte indebite limitazioni alla libertà d’espressione,
associazione e riunione pacifica, non è ammessa l’esistenza di partiti
politici indipendenti, e soltanto i cittadini del Qatar hanno il
permesso di organizzarsi in associazioni di lavoratori, a patto che
queste soddisfino rigidi criteri stabiliti dalle autorità. Non sono
ammessi e vengono sistematicamente dispersi i raduni pubblici non
autorizzati e sono in vigore leggi che criminalizzano espressioni
ritenute offensive verso l’emiro. Inoltre, ribadisce Amnesty «la
discriminazione contro le donne è radicata nella legge e nella prassi. I
lavoratori migranti subiscono gravi forme di sfruttamento e abusi.
Pensate
voi che Gentiloni, accompagnato da Alessandro Profumo a.d. di Leonardo,
Claudio De Scalzi dell’Eni e Giuseppe Bono di Finmeccanica, abbia
sentito il dovere di rispondere ad Amnesty? No, non l’ha fatto.
In
realtà la “risposta” l’ha data in modo ufficiale e diplomatico dopo il
vertice con le petro-autorità saudite: «I rapporti con l’Arabia saudita
sono importanti per i nostri interessi nazionali e per la stabilità del
Mediterraneo e della Libia, ho apprezzato – ha dichiarato Gentiloni – la
moderazione che ha avuto sulla vicenda libica. Guardiamo con interesse
all’incontro organizzato tra le opposizioni siriane per un contesto
nuovo e ci auguriamo che i tentativi in corso dall’amministrazione Usa e
dal Kuwait per evitare tensioni nel Golfo funzionino».
In questo
viaggio d’affari non poteva mancare anche qui il segno di una evidente
subalternità, con un occhio alla Libia dove la monarchia di Riyadh
appoggia il generale Haftar contro il “nostro” Serraj; alla cosiddetta
stabilizzazione della Siria dove l’Arabia saudita, dopo aver contribuito
a ridurre il Paese in macerie, ha appena smesso di sostenere il
jihadismo dell’Isis e ora corre per accaparrarsi una ricca fetta della
ricostruzione; e ringraziando i “tentativi” di Trump che in realtà ha
portato in dono ai Saud ben 110 miliardi di dollari in armi.
Per
un presidenziale viaggio d’affari, con l’occhio alla inevitabile
“crescita” del made in Italy, questo pesante teatro di silenzi e
finzioni può bastare.