il manifesto 17.11.17
Un duro colpo per i «più papisti del Papa»
Eutanasia.
Le parole di Bergoglio non sono rivoluzionarie, ma sono comunque
servite a rimuovere i residui alibi di chi blocca la legge per evitare
contrapposizioni con il modo cattolico
di Marco Cappato
Per
i «più papisti del Papa» è stato un duro colpo, tanto da doversi
affrettare a specificare l’unico aspetto scontato della dichiarazione di
Papa Francesco contro l’accanimento terapeutico: il no all’eutanasia.
Il
problema di chi sta paralizzando la legge sul biotestamento al Senato –
o esplicitamente, con migliaia di emendamenti ostruzionistici o, più
furbescamente, lasciando che prevalga l’inerzia con l’avvicinarsi della
fine della legislatura – è però che quel testo, approvato a larghissima
maggioranza alla Camera, è centrato proprio sul principio richiamato dal
Papa: la possibilità per il paziente di sospendere cure, anche quando
tale sospensione conduce certamente alla morte.
In realtà è già
dagli anni ’50 che la Chiesa aveva riconosciuto l’importanza di non
obbligare ad accanirsi sui malati, ammettendo terapie antidolore anche
quando avrebbero avuto l’effetto di accorciare la vita del paziente. Ciò
non toglie che la presa di posizione di Papa Francesco sia comunque
importante, anche semplicemente per il fatto di aver riconosciuto
l’impatto che il tema sta acquisendo grazie al progresso
medico-scientifico, in grado di prolungare la vita oltre ogni
ragionevolezza.
La presa di posizione, di per sé certo non
rivoluzionaria, da parte del Pontefice lo diventa quasi in un Paese come
il nostro, dove la Costituzione già stabilisce il diritto a
interrompere le terapie, ma manca una legge che garantisca che a tale
diritto corrisponda un preciso dovere da parte del sistema sanitario. La
legge bloccata al Senato prevede proprio questo. In pratica, sì
recepisce la giurisprudenza dei casi Welby, Englaro e Piludu in modo che
per affermare un diritto costituzionale non ci sia bisogno del tempo e
dei soldi per rivolgersi a un giudice.
In Parlamento i favorevoli
sulla carta sono ben più numerosi dei contrari. Negli scorsi giorni, sia
Di Maio che Renzi hanno speso parole in favore dell’approvazione della
legge. Eppure, le possibilità di un nulla di fatto aumentano di giorno
in giorno in assenza di una decisione dei capigruppo al Senato.
È
fin banale dire che se ci fosse una vera volontà politica del Pd il
risultato sarebbe a portata di mano, quantomeno quello di arrivare a un
voto nel quale ciascun senatore possa assumersi le proprie
responsabilità.
Le dichiarazioni del Papa non erano rivolte al
Parlamento, e non entravano nel dettaglio delle scelte del legislatore.
Sono comunque servite a rimuovere i residui alibi che tanti hanno
accampato in queste settimane, invocando la necessità di evitare
contrapposizioni con il modo cattolico. L’unico confronto dal quale i
«più papisti del Papa» vogliono fuggire è quello con un’opinione
pubblica ormai più che favorevole a una legge persino sull’eutanasia,
oltre che sulla interruzione delle terapie e il testamento biologico.