il manifesto 16.11.17
Basta finanziare gli aguzzini, cancellare l’accordo
Migranti nel centro di detenzione Abu Salim a Tripoli, in Libia, il 15 agosto
di Francesca Chiavacci, Filippo Miraglia
Nelle
ultime ore gli effetti dell’accordo del nostro governo con la Libia si
sono materializzati davanti a tutto il mondo. Prima i 50 morti provocati
dal comportamento della guardia costiera libica.
Che cerca di
impedire alla nave della Ong Sea Watch di prestare soccorso. Poi la
denuncia del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che accusa
esplicitamente il governo e l’Unione Europea di essere corresponsabili
dei crimini che vengono commessi nei lager libici. E ancora, le
terribili immagini dei migranti venduti come schiavi, probabilmente
dalle stesse milizie con cui ha trattato il ministro Minniti. Da ultimo,
la denuncia alla Corte Internazionale dell’Aja per crimini contro
l’umanità del generale Khalifa Haftar, uno degli autorevoli
interlocutori del ministro.
Un quadro terribile, che conferma la
sistematica violazione dei diritti umani nel paese che l’Italia ha
rifornito di armamenti e soldi per fermare i flussi migratori.
Salvare
i migranti da quell’inferno, interrompere i finanziamenti – trovati
attingendo ai fondi per la cooperazione – è ormai un imperativo.
Non ci si può dire preoccupati per le sorti di chi viene ricacciato in Libia e allo stesso tempo finanziarne gli aguzzini.
In
questi giorni il nostro Parlamento discute la legge di bilancio, che
prevede risorse per la cooperazione allo sviluppo che in realtà vengono
utilizzate per tutt’altri fini. In particolare, il Maeci (Ministero
affari esteri, Cooperazione internazionale) ha istituito un fondo
straordinario per l’Africa per il 2017, con una dotazione di 200 milioni
di euro, volto a finanziare interventi di cooperazione allo sviluppo e
di controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari. Fondi che
sono stati in parte finalizzati a progetti specifici nei principali
paesi interessati dalla rotta del Mediterraneo Centrale – Niger, Libia e
Tunisia in particolare – in parte sono invece transitati per il
contenitore europeo dei Fondi Fiduciari per poi arrivare direttamente
nelle casse dei Paesi africani coinvolti. Un sistema di vasi comunicanti
– sia tra Italia e Europa, che tra il Maeci e il Ministero degli
Interni – che rende ancora più difficile il monitoraggio del loro
utilizzo.
È però evidente che l’utilizzo reale del Fondo per
l’Africa ha poco a che vedere con l’obiettivo dello sviluppo previsto
dalla legge. Le risorse più ingenti sono infatti quelle stanziate per
il contrasto all’immigrazione e il controllo delle frontiere. L’esempio
più esplicito del sistema di vasi comunicanti è il fondo allocato per il
Niger, con cui questo paese s’impegna a creare nuove unità
specializzate necessarie al controllo dei confini. Una militarizzazione
delle frontiere che obbliga i migranti a uscire dalle rotte abituali,
aumentandone i rischi e trasformando così il deserto, come già il
Mediterraneo, in un cimitero a cielo aperto. Il fondo per l’Africa è
dunque diventato lo strumento centrale per l’esternalizzazione delle
frontiere, affidando a paesi che violano sistematicamente i diritti
umani l’intercettazione dei migranti per deportarli in luoghi dove sono
esposti a trattamenti violenti e disumani.
L’esempio più lampante,
come riportano le tante denunce documentate, è quello della Libia, per
la quale il Maeci stanzia dieci milioni, gestiti dal Ministero degli
Interni italiano, che si aggiungono agli altri due milioni e 500mila
euro forniti per la riparazione di quattro motovedette assegnate alla
guardia costiera libica perché svolga la sua violenta opera di
intercettamento e respingimento. Con gli stessi obiettivi, dodici
milioni sono stati destinati al governo tunisino per il pattugliamento
delle zone costiere e delle frontiere terrestri. Con questo utilizzo dei
fondi l’Italia viola le Convenzioni Internazionali, affidando ad altri
Paesi i respingimenti sistematici di cittadini stranieri, potenziali
richiedenti protezione internazionale.
Chiediamo che sia
cancellato l’accordo con la Libia e che le risorse previste per la
cooperazione vengano destinate all’aiuto allo sviluppo, come prevede la
legge, e non utilizzate per finanziare strumenti di controllo e di
militarizzazione delle frontiere africane.
* Francesca Chiavacci è presidente nazionale Arci
* * Filippo Miraglia è presidente Arcs