il manifesto 12.11.17
Sui marciapiedi della rivoluzione
Per
il centenario del 1917 al Partito comunista di Zyuganov viene
consentito di sfilare solo sulla corsia laterale. Ma agli ospiti
stranieri il comune di Mosca offre una sontuosa cena sul fiume.
Ufficialmente si festeggia solo l’Armata Rossa e si approfitta di un
lungo ponte. Putin è attento a costruire un immaginario che può
coinvolgere tutti, ma in chiave nazionalista
Anniversario del 1917 a Mosca: si festeggia l'Armata rossa
di Luciana Castellina
MOSCA
Sulla fusoliera dei velivoli Aeroflot, ma anche sulle mostrine delle
divise di piloti e hostess, e persino sul dorso dei durissimi biscottini
che passano a bordo, la falce e il martello sono rimasti. Così anche
sulle uniformi della marina, non su quelle della fanteria e della
polizia, tantomeno sulle bandiere. Come per le statue e i nomi della
toponomastica le regole, dopo più di un quarto di secolo dalla fine
dell’Urss, rimangono incerte, affidate al rispetto della fluttuante
sensibilità dei singoli corpi dello stato. (L’Aeroflot mi ha colpito
perché mi ha ricordato quando, nel ’91, nel bel mezzo del crollo, il
Komsomol dell’università di Novosibirsk mi invitò assieme a un folto e
variegato gruppo di sinistra europea a discutere di cosa era il
socialismo; e, poiché non avevano i mezzi finanziari per farci
viaggiare, ci fecero caricare su un aereo militare col quale, seduti per
terra come reclute, raggiungemmo la lontana meta siberiana.
«L’aviazione – fu la loro criptica spiegazione – è amica del Komsomol».
Qualcosa dell’ anarchia del tempo, nonostante Putin, è forse rimasta).
Falce e martello le ho ritrovate in abbondanza anche sulla piazza Rossa,
proprio il 7 novembre. Non, sia chiaro, per via della Rivoluzione del
1917, che, ufficialmente, non si celebra più, bensì per via della
vittoriosa resistenza dell’Armata Rossa, sostenuta dalla popolazione in
armi, nel 1941, quando l’esercito nazista era arrivato quasi sotto le
mura della capitale. Un’ennesima «furbata» di Putin, attento a costruire
un immaginario sincretico che coinvolga tutti, per non offendere
nessuno e però stemperare la rivoluzione nel nazionalismo.
LA
RUSSIA CON LE ICONE del passato, e soprattutto col calendario delle
ricorrenze, non ha ancora trovato pace. E perciò, per non creare troppi
problemi, si è intanto finiti per allungare oltremisura un ponte che
consente in qualche modo di rispettare almeno le abitudini stagionali
dei cittadini, da un secolo abituati a festeggiare il 7 novembre come
fosse Natale.
Moltissimi i cinesi venuti per la ricorrenza,
accorsi insieme a tanti di tutte le nazionalità sulla piazza Rossa
riaperta al pubblico quando le autorità se ne sono andate. Uno di loro
ha snodato assieme a molti amici uno striscione che recava una scritta
rivoluzionaria nella loro lingua. Lo noto perché porta un cappotto blu
di taglio londinese, ed è seguito da moglie e due figlie decenni, tutte e
tre in pelliccia di visone. Ha ragione di ringraziare l’Ottobre: senza
quella rivoluzione il suo paese, e lui stesso, chissà cosa sarebbero.
Tutto,
certo, è un po’ surreale. Il massimo si raggiunge all’hotel Ucraina,
collocato in una delle «sette sorelle» (così venivano chiamati i sette
grattacieli a pinnacoli dell’epoca staliniana che a lungo sono stati lo
skyline moscovita, oggi in gara con Moscow City, un mazzo di grattacieli
modernissimi dove vive la finanza russa e internazionale).
L’HOTEL
UCRAINA, dove ricordo di aver alloggiato nel ’61 con una delegazione
della Fgci guidata da Occhetto, ora si chiama Radisson. È stato
lussuosamente rimodernato e però – stravaganti ospiti – sono rimaste a
decorare gli atri di marmo le statue che ritraggono operaie e contadini.
Difficili
da decifrare anche gli intrecci che continuano a collegare questo o
quel gruppo politico. I delegati stranieri ospiti del «Forum
Internazionale delle forze di sinistra», indetto dal Partito comunista
di Zyuganov, un po’ in declino ma tuttora forte di una delegazione di
deputati alla Duma che supera il 20 per cento, hanno potuto godere di
una sontuosa cena a bordo di tre lussuosi battelli che hanno navigato di
notte lungo la Moskova, fra il tripudio di luci della capitale
notturna: offerta dal Comune di Mosca! (Il quale al Pcr, dopo questo
regalo, ha però recato l’offesa di autorizzare la marcia del 7 novembre
solo lungo il marciapiede della centralissima Ulitza Tverskaya).
Sono
stata contenta di esserci andata anche io, grazie all’inclusione
offertami dai compagni italiani accreditati: Rifondazione Comunista, il
PCd’I. Contenta perché, sebbene molti fossero partiti comunisti
residuali, si tratta pur sempre di militanti che combattono in
condizioni durissime. Cito per tutti quello dello Yemen. Forze,
comunque, talvolta anche vincenti: al mio tavolo – con grande commozione
– ho ritrovato i compagni dello Swapo, la coraggiosa guerriglia
namibiana, che, accompagnata dal Mpla angolano, avevo incontrato negli
anni ’80 nel loro accampamento nella giungla, a ridosso della linea del
fronte, bombardata dagli aerei del Sud Africa, subentrato come occupante
coloniale all’Impero tedesco. Una guerriglia vittoriosa anche nel
tempo: dal 1990, data dell’indipendenza finalmente conquistata, ad oggi,
al governo è rimasta la Swapo, e fino all’anno scorso presidente il
compagno Sam Nujoma, conosciuto allora. Il suo successore ha ottenuto in
democratiche elezioni l’86,73% dei voti.
piazza rossa anniversario 52
CURIOSO
ANCHE IL LEGAME fra il gruppo «Alternative», organizzatore della
Conferenza sul centenario cui ho partecipato e di cui ha scritto già
Yuri Colombo. La sera del primo giorno tutti gli ospiti stranieri sono
stati invitati nella bellissima antica sede della «Società degli
economisti liberi», fondata dall’imperatrice Caterina, poi sovietizzata,
ora nuovamente «libera». Ospiti del suo attuale presidente, Sergey
Bodrunov, oggi diventato molto ricco e però rimasto a suo modo
comunista, tanto da aver offerto la grande sede dell’Università di
scienze finanziarie e giuridiche da lui fondata, per tenere i nostri
lavori.
Prima della cena un dibattito introdotto dal padrone di
casa con una lunga relazione di politica economica in cui ha rivendicato
l’importanza di Keynes, «fratello gemello di Marx». Ha sostenuto con
destrezza una sorta di via tecnologica al comunismo: come diceva Marx,
grazie all’alto livello del lavoro cognitivo, l’uomo non sarà più
subalterno alla macchina, ma suo controllore. In piena sintonia con lui
Cheng Enfu, membro dell’Accademia cinese di scienze sociali. Poi è
toccato parlare a Samir Amin, che, seduto accanto a me sentivo
scalpitare: gliene ha «cantate» a tutti e due. Così come ha fatto,
subito dopo, il professor Kotz della Massachusetts University di
Amherst.
Bodrunov ha risposto a tutti con serietà e gentilezza,
chiedendo di poterli chiamare compagni; poi ha premiato con una
bellissima statuetta d’oro sia Cheng Enfu che Samir Amin (di cui ha
anche edito un libro).
LA CONFERENZA promossa da Alexander
Buzgalin, uno dei pochi giovani russi che si è unito a noi nei Forum
sociali mondiali, ora importante docente di economia all’Università di
Mosca ma anche instancabile militante, è stata molto interessante.
Impossibile darne conto qui. Solo un cenno: un’inconsueta informazione
dei docenti cinesi di marxismo su un dibattito interno più ricco di
quanto sappiamo.
Più difficile trovare sintonie con la
problematica dei russi, tutt’ora intenti a chiedersi come è potuto
capitare lo stalinismo. Sono rimasta colpita dall’assenza di ogni
riferimento a Gramsci, sostanzialmente uno sconosciuto (ma con noi c’era
suo nipote Antonio, molto simpatico e però, ovviamente, non sostitutivo
del nonno).
Piccoli o grandi gli appuntamenti del centenario sono
stati tantissimi. E tutte le reti tv hanno dato spazio infinito alla
Rivoluzione: da sconosciuti film documentari, a dibattiti sul
significato di quell’evento, a due popolarissimi film televisivi a
puntate, uno sulla vita (anche privata) di Lenin, uno su quella di
Trotsky.
Quel che colpisce di questo paese, e ritrovo ogni volta
che ci torno, è quanto forte e diffuso, nonostante la sua storia
tormentata, sia l’orgoglio per essere stato il popolo che ha assaltato
il cielo con quella indimenticabile rivoluzione; e che ha dato vita per
settant’anni a un paese che ha segnato la storia del mondo. Se Putin
trionfa col suo nazionalismo e la sua politica antidemocratica è perché
il furibondo e stupidissimo anti russismo occidentale gli ha dato
spazio.
PER FINIRE la mia cronaca di queste giornate: al termine
della nostra conferenza Buzgalin ha allestito una sorta di cabaret. Sul
palco Samir Amin che ha impersonato Stalin; Savas Matsas, docente
all’Università di Atene, Trozky; due eminenti russi di cui non ricordo
il nome, Plekhanov e Zinoviev. Nessuna donna prevista, ma appena ho
protestato mi hanno consentito di rappresentare Aleksandra Kollontaj. A
tutti è stato chiesto cosa avrebbero fatto oggi, 2017. Ne ho
approfittato per dire che nessuno aveva parlato della sola rivoluzione
che da cento anni a questa parte ha mietuto qualche non secondario
successo: quella femminista. Purtroppo ignorata da tutti gli eventi.