domenica 12 novembre 2017

Il Fatto 12.11.17
“Il comunismo era il regno di Dio sulla terra”
A 95 anni la spia che tradì l’Occidente non si pente: “007 sovietici dalla parte del bene”
“Il comunismo era il regno di Dio sulla terra”
di Sabrina Provenzani

Ora si fa chiamare George Ivanovich. Ma il mondo lo conosce con un altro nome: George Blake. Agente al servizio di Sua Maestà – e del Kgb – durante la Guerra fredda.
È la spia che ha fatto più danni, rivelando ai russi, negli anni Sessanta, l’identità di tutti gli agenti britannici a Berlino. Non si è mai considerato un traditore. “Per tradire qualcosa devi prima appartenervi. Io non sono mai stato parte della società britannica”.
Nato a Rotterdam nel 1922 in una famiglia alto borghese, padre ebreo e madre calvinista, da bambino vuole diventare pastore protestante. Sogno infranto dalla morte del padre e dallo scoppio della guerra. Trascorre un’adolescenza cosmopolita da ricchissimi parenti al Cairo, poi entra nella Resistenza olandese. L’MI6 lo nota giovanissimo: a 26 anni è già in Corea, allora sull’orlo della guerra civile, per reclutare agenti russi.
Catturato dai Comunisti del Nord, nei tre anni di prigionia assiste ai bombardamenti americani sulla popolazione civile. “È stato allora che ho capito di non essere dalla parte giusta”. È anti-americano come Kim Philby, ma lo muove anche una dimensione religiosa, residuo del calvinismo che lo ha formato: “Ho sempre visto il Comunismo come un tentativo di creare il regno di Dio sulla terra. I comunisti tentavano di farlo tramite le azioni, invece che con preghiere e precetti”, spiegherà in seguito alla Bbc.
Quando torna nel Regno Unito è accolto come un eroe e assegnato al Foreign Office. All’ora di pranzo, quando i colleghi escono per mangiare, fotografa documenti riservati, poi prende la metropolitana e li passa ai suoi contatti nel Kgb. Viene scoperto nel 1961. Dopo tre giorni di interrogatorio Blake ammette tutto, ma assicura di aver posto al Kgb la condizione che nessuno degli agenti “bruciati” venga giustiziato. Viene condannato a 42 anni di detenzione, pena forse corrispondente ad un anno per ogni collega “scomparso”. Scappa dal carcere di Wormwood Scrub nell’ottobre 1966 con due complici e l’aiuto di una coppia di attivisti antinucleari che lo nascondono in uno scomparto segreto del loro furgoncino.
Ripara nell’allora Unione Sovietica, che lo tratta con tutti gli onori anche dopo la caduta del regime. Sabato ha compiuto 95 anni e il giorno prima, tramite i servizi di sicurezza russi, ha rilasciato una dichiarazione controversa come tutta la sua vita: “Gli agenti segreti russi sono gli eroi di una vera battaglia fra il Bene e il Male” e tocca a loro “la difficile e cruciale missione di salvare il mondo in una situazione in cui i rischi di un conflitto nucleare e la conseguente auto-distruzione dell’umanità sono tornati attuali per colpa di politici irresponsabili”.
Quasi certamente l’ennesima operazione di propaganda putiniana. A Putin, George Ivanovich deve tutto: la sua dacia, la sua pensione, la sua sicurezza. Ma in privato avrebbe dichiarato di disprezzarlo, come disprezza la Russia che Putin ha creato.
“Io sono rimasto comunista – avrebbe confessato di recente ad un vecchio collega del Foreign Office – sono i russi che hanno mandato tutto a puttane”.