Il Fatto 11.11.17
“Il comunismo delle intenzioni vivrà quello sulla Terra non è mai riuscito”
Paolo Mieli - Al Teatro Vittoria di Roma con “Era d’ottobre”. Cento anni dalla Rivoluzione russa
di Alessia Grossi
“C’è
un comunismo delle intenzioni, che tutti coloro che istintivamente
reagiscono a soprusi, ingiustizie, sopraffazioni, ruberie di pochi su
tanti, hanno nel cuore e un comunismo in Terra. Il primo esisterà
sempre, anche se non avrà più quel nome. Il secondo non si è mai
realizzato, almeno non senza accompagnarsi alle più feroci dittature,
stermini e uccisioni”.
È il bilancio, a cent’anni dalla
Rivoluzione russa che Paolo Mieli, già direttore del Corriere della
Sera, mette in scena in Era d’ottobre oggi e domani al Teatro Vittoria
di Roma, dopo il debutto al Festival dei due Mondi di Spoleto. Un gioco
per immagini, un viaggio nel quadro I funerali di Togliatti di Renato
Guttuso. “Un dipinto che si colloca a metà strada nel cammino del
comunismo: più o meno a cinquant’anni dalla rivoluzione del 1917 e da
oggi”, spiega Mieli. Ed è proprio “il viaggio nel quadro a darci il
senso anche della consapevolezza che del comunismo si aveva in quel
momento storico”, chiarisce il giornalista. “Guttuso, infatti, non era
un artista come un altro, essendo membro del Comitato centrale del
Partito comunista italiano. E proprio attraverso lo stratagemma del ‘chi
c’era e chi non c’era’ nel suo dipinto capiamo tante cose”.
L’opera,
che venne esposta a Mosca nel 1972, al suo interno rappresenta anche
“membri del partito comunista, dirigenti oscuri come Dimitrov,
segretario dell’Internazionale comunista negli Anni 40, ad esempio.
Accanto a Lenin, Stalin, Dolores Ibarruri, Ho chi Minh”, elenca Mieli.
“Ma non ci sono Trotzky, Krusciov, Mao, Fidel Castro, Che Guevara,
Solgenitsin e Dubcek, anche se ognuno di loro al momento della creazione
dell’opera era già presente nella Storia”. Un escamotage teatrale
quello di Paolo Mieli, bilanciato su assenze e presenze da cui sul palco
fa nascere la riflessione dello spettacolo e che “è nata – chiarisce –
da un’idea di Pepe Laterza che mi invitò a una conferenza ‘Le lezioni di
Storia’ a Milano a Santa Maria delle Grazie”. La lezione teatrale è
sulla storia del comunismo. “Quello che si è provato a mettere in atto
in Terra”, spiega Mieli, “e che ha fallito” divaricandosi dal comunismo
delle intenzioni, che ognuno di noi può avere nel cuore e che può
rivendicare senza pagare dazio proprio perché il primo non ha mai avuto
una sua Norimberga: un processo cioè che condanni tutti gli atti
terribili di cui si è macchiato”.
Una disamina, quella del
giornalista e conduttore de La grande Storia, che ripercorre un secolo
di comunismo – a differenza dello spettacolo dell’ex direttore di
Repubblica Ezio Mauro, che a teatro porta le cronache dalla rivoluzione
uscite sul quotidiano – “un opera straordinaria”, secondo Mieli,
“diversa dalla mia perché si focalizza su quello che per me è un punto
di partenza, cioè il momento in cui è nato, ed è stato concepito per
essere applicato ai paesi sviluppati dell’Europa occidentale” ciò che
oggi “è rimasto invece in Asia e nei paesi meno sviluppati”. E se
dovesse essere dipinto nel 2017 chi ci sarebbe e chi no nel quadro di
Guttuso? “Sicuramente molti asiatici”, risponde Mieli. E se dovessimo
rincontrarci tra cento anni, ne è sicuro “esisterà ancora il comunismo,
anche se con un altro nome. Non esisterà più nei paesi asiatici, che
saranno andati oltre, ma – azzarda un pronostico – saranno passati ad
altri regimi, come in Russia”. Mieli ne è convinto infatti: “Si terranno
il dispotismo pur mollando gli emblemi, i simboli del comunismo”.
Il
bilancio secolare dunque non è positivo per il comunismo storico. E, a
proposito di simboli, nello spettacolo non c’è soltanto analisi, critica
e Storia con la maiuscola, ma anche un finale consolatorio. Slegato dal
bilancio di un centenario perché “viaggiava già da 30 o 40 anni prima
della Rivoluzione, veniva da lontano e arriva ancora oggi a chi crede
nell’emancipazione degli oppressi”.