il manifesto 12.11.17
Il racconto di Roma Capitale delle povertà dove cresce la classe dei «working poors»
Rapporto
Caritas. Città di case senza gente e di gente senza case, atroce
bellezza per nulla grande, vasta periferia, geografica e dell’anima. La
crisi assedia centro e periferie. Crescono le dipendenze: droga alcol e
azzardo. 9,8 per cento è la disoccupazione registrata in città. In dieci
anni, dopo i finti fasti veltroniani, è aumentata del 2,6%. Era al
7,2%. 130 mila alloggi sfitti nella città delle «case senza gente e
della gente senza casa». Quello immobiliare è un mercato spietato che
genera precarietà e sfratti. 7,8 miliardi di euro è il giro di affari
nel Lazio, ma in gran parte romano. Crescono le ludopatie e le richieste
di cure psichiatriche mentre servizi sono tagliati
di Roberto Ciccarelli
ROMA
È nata una «classe» di nuovi poveri, cresciuta nelle periferie e nelle
classi meno abbienti, come pure nella classe media. Si tratta di una
condizione sociale, economica e psicologica trasversale determinata
dall’austerità dei tagli alla spesa sociale, ai trasporti, dalla
precarietà di massa e dall’abbandono dei servizi che scaricano sulle
famiglie costi intollerabili.
Capitale di un paese impoverito,
impaurito e risentito. In sé città dell’esclusione che si manifesta in
maniera imprevedibile. Quello che colpisce nel rapporto della Caritas,
presentato ieri all’università Lateranense, è il racconto del
«barbonismo domestico», persone che vivono nell’abbandono più totale
anche se possiedono una casa e non sono esposte allo sfacelo di uno
sfratto violento, magari con la forza pubblica e il pignoramento dei
beni. Non esiste più solo la povertà economica «tradizionale», quella
visibile dei senza dimora, ma anche quella dei «working poors» che
pagano un affitto, lavorano o hanno lavorato e che non arrivano a fine
mese. Anzi «non hanno di che vivere». Dopo i finti fasti veltroniani, e
le successive compensazioni urbanistiche, si è alzato il sipario su una
crisi a lungo messa sotto il tappeto da speculatori di ogni genere. In
dieci anni la disoccupazione è passata dal 7,2% al 9,8%, mentre la
povertà ha raggiunto il centro città, unendola alle periferie.
ROMA,
CITTÀ dell’abbandono, atroce bellezza per nulla grande. Impietosa con
chi abita la periferia, geografica e dell’anima. Perché il deserto nasce
anche da abitudini compulsive che si rispecchiano nelle dipendenze da
droga, alcol e gioco di azzardo. Da quando le consolari si sono riempite
di casinò, luoghi che si sono installati stabilmente anche in quartieri
centralissimi, ad esempio Trastevere, il gioco d’azzardo movimenta un
volume di affari calcolato in 7,8 miliardi di euro. Il dato si riferisce
al Lazio, ma è probabile che Roma abbia dato un contributo decisivo.
Com’è decisivo il numero delle persone, in prevalenza maschi oltre i 40
anni, con un titolo di studio medio-basso, che si rivolgono ai servizi
per le dipendenze (SerD).
In questa città dell’incomunicabilità
alla Caritas risulta che quasi il 50% degli studenti tra i 14 e i 19
anni ha giocato d’azzardo nello scorso anno scolastico. Lì dove hanno
chiuso i biliardi, dove si andava quando si faceva «X» a scuola, oggi
crescono le «macchinette».
LE PERIFERIE della solitudine qui non
hanno confini. È così ovunque e anche a Roma dove si sente tutta quella
enorme «fatica di essere se stessi» che già una quindicina di anni fa
Alain Ehrenberg raccontava a proposito del protagonista del nostro
tempo: il soggetto performativo e compulsivo, oscillante tra depressione
e entusiasmo, oggi chiamato anche «uomo indebitato». C’è un’annotazione
nel rapporto «la povertà a Roma» sull’aumento delle persone affette da
«disturbo mentale»: 68.217 nel Lazio. A Roma si registra una crescita
della domanda di cure psichiatriche a elevata complessità mentre i tagli
al sistema sanitario nazionale continuano, creando un’offerta
impoverita e disomogenea tra municipio e municipio.
LA CAPITALE
della povertà è anche una città di «case senza gente e di gente senza
casa». La visione di un sindaco e storico dell’arte come Giulio Carlo
Argan ha avuto un valore profetico. Questa immensa città, tra le prime
per estensione in Europa, è ancora così: una landa di 130 mila alloggi
sfitti. L’emergenza casa è stata urlata in ogni modo dai movimenti per
il diritto all’abitare in questi anni. Vilipesi, repressi, perseguitati
con il «Daspo», sono loro che affrontano il dramma di 5 mila persone che
non hanno altra strada che vivere in occupazione e di altre 30 mila che
vivono in emergenza.
Perché la povertà è anche generata dal
capitale più aggressivo, e vetusto, che ci sia: quello palazzinaro che
specula su una vita in cerca di casa. Un mercato spietato impedisce di
creare un’offerta abitativa e affitti accessibili. Gli esclusi si
ritrovano nelle occupazioni con famiglie immigrate e italiani senza casa
mentre in città c’è uno sfratto per morosità incolpevole (cioè manca il
salario per pagare spese e affitto) ogni 279 abitanti. La media
nazionale è uno sfratto ogni 419 abitanti. Solo nel 2016 sono state
sfrattate con la polizia 3.215 famiglie. Davanti a questo scempio,
restano i movimenti e i sindacati degli inquilini. Da soli, contro
tutti, inascoltati. E, in ultima istanza, i centri di ricovero della
Caritas, o di Sant’Egidio. Qui i senza tetto sono 7.500 ma stime
ufficiose parlano di stime fino a16 mila persone. Il doppio.
CHE
RABBIA, questa povera capitale di una nazione ipocrita. Oggi le destre
speculano sull’odio anti-immigrati, ma i dati Caritas raccontano
tutt’altro: i richiedenti asilo sono 4.063, e il sistema Sprar e Cas in
affanno, ma gli stranieri sono il 13,1%, e il 44% di loro sono europei,
un valore inferiore a Milano o Firenze. Roma, capitale della povertà
dove vittima è anche la verità.