il manifesto 12.11.17
Una terra per millenari incroci di destini
Tra
passato e presente. «Storia mondiale d’Italia», a cura di Andrea
Giardina, per Laterza. Il monumentale volume, che uscirà il 16 novembre,
presenta un racconto aperto, contro la boria di ogni nazionalismo
di Piero Bevilacqua
Costituisce
un evento editoriale e culturale di prima grandezza la pubblicazione
della Storia mondiale d’Italia, a cura di Andrea Giardina (Laterza,
pp.820, euro 30) e per più di una ragione. L’idea del libro, mutuata da
Giovanni Carletti, editor laterziano, dalla recente edizione in Francia
dell’Histoire mondiale de la France a cura di Patrick Boucheron, trova
nella vicenda millenaria del nostro paese una realizzazione che si può
definire monumentale. Se non fosse che il termine allude più alle
dimensioni e alla organicità dell’opera che non al carattere
programmaticamente sovvertitore che anima il testo.
UNA STRATEGIA
INNOVATIVA già saggiata dal prototipo francese, ispirata, come scrive
Boucheron nel suo Invito al viaggio, che accompagna l’introduzione di
Giardina: «la scelta di seguire il tracciato di una storia discontinua,
sorprendente, aperta, che consentisse al lettore di attraversare
liberamente un racconto nel quale ci si riconosce ma dove, nel
riconoscersi, ci si scopre diversi da ciò che si credeva di essere».
Il
fine è quello di «disorientare la storia» e, ancor di più arditamente,
«defatalizzare il tempo». Vale a dire correggere soprattutto
l’immaginario identitario di popoli che hanno attraversato vicende
«nazionali» di straordinaria ricchezza e ampiezza di influenza e che
oggi si trovano immersi in una storia mondiale molto più ravvicinata e
quotidiana di quanto non sia stato in passato. Una storia in cui appare
urgente riconoscere i propri apporti di lungo periodo e i
condizionamenti subiti perché «è nel loro rapporto con l’universale che i
sentimenti nazionali si costruiscono tanto in Francia che in Italia».
Il
testo coordinato da Giardina, parte dalle Alpi preistoriche e termina
con la Lampedusa di oggi, un quadro geografico ben delimitato e chiuso
entro cui si svolge una vicenda millenaria di straordinaria e forse
unica varietà.
Il «popolamento eccezionalmente misto dell’Italia
nel corso dei millenni – ricorda Giardina – la politica già romana della
cittadinanza e dell’integrazione, le invasioni germaniche, le presenze
islamiche, francesi, spagnole e così via, quasi un caleidoscopio etnico
in perenne rotazione» ne fanno un caso esemplare per questo nuovo modo
di fare storia. Per millenni dentro i confini territoriali della
Penisola si è svolta una vicenda che ha coinvolto le culture, le
religioni, le consuetudini di decine di altri popoli insediati in spazi
prossimi e lontani del pianeta. Ma al tempo stesso mondiale è stata la
proiezione dell’Italia, con i suoi uomini, le sue idee, il suo cibo, la
sua arte e le sue tradizioni religiose. Si pensi all’universalismo
cattolico, incarnato dalla centralità di Roma, che sorge nel mondo
antico e vive ancora nella spiritualità e nell’immaginario di oggi.
Questa molteplicità etnica e culturale del nostro Paese, consente di
guardare in maniera ricca e spiazzante al cosiddetto carattere degli
italiani, «uno dei principali protagonisti di questo libro, anche perché
forse nessun altro popolo ha ricevuto un numero altrettanto grande di
aggettivi».
MA GIARDINA tiene conto dell’insegnamento di Croce:
«Qual è il carattere di un popolo? La sua storia: tutta la sua storia e
nient’altro che la sua storia». Ed è questa storia che oggi ci riappare,
grazie al lavoro corale di diverse decine di specialisti italiani e
stranieri, sotto una luce nuova, più aderente al modo in cui essa
realmente si è andata svolgendo, più vicina all’orizzonte universale con
cui noi oggi osserviamo l’accadere nella nostra epoca. Occorre infatti
considerare quanto di «tolemaico», subalterno all’apparente, c’è ancora
nel nostro modo di guardare al passato, come se a una storia mondiale
approdassimo oggi, grazie alla globalizzazione. E invece la storia
mondiale precede quella nazionale, non solo perché le nazioni nascono
tardi, ma perché per millenni la geografia ha imposto il suo dominio al
movimento di uomini e merci che dovevano ricorrere agli spazi
internazionali del mare.
UN MODO DI GUARDARE al passato che manda
in frantumi ogni «boria delle nazioni» e annichilisce alla radice ogni
pretesa chiusura identitaria, il pregiudizio di una storia delimitabile
entro muri e confini. E il messaggio civile di Giardina è esplicito «non
sono pochi gli italiani che oggi vorrebbero serrare il mare come se
fosse l’uscio di casa… Ma il fatto è che l’istinto della tana conduce
verso spazi sempre più stretti: dalla nazione alle città, dalle città ai
quartieri, dai quartieri agli isolati, alle case e infine agli
appartamenti. E dopo, cosa viene dopo?».
NON È FACILE dar conto
dei centottanta saggi contenuti nel libro, che occupano otto pagine di
indice. La segnalazione sarà necessariamente casuale come in parte
erratica è stata sinora la nostra lettura. E tuttavia sufficiente per
fornire più che una suggestione, per un testo che potrebbe diventare un
breviario di storia da tenere sul comodino, un vademecum per la
formazione cosmopolita dei giovani, un’«enciclopedia» da consultare
costantemente.
I capitoli sono scanditi da date, spesso un anno,
talora un preciso giorno, qualche volta un gruppo di secoli. Si pensi al
saggio 150 a.C. Dall’Italia alla Groenlandia (Elio Lo Cascio). I
carotaggi effettuati nei ghiacciai della Groenlandia rivelano che
l’inquinamento atmosferico generato dalla produzione di rame e argento
giunge al massimo, prima della rivoluzione industriale, tra i secoli II
a.C. e il II d.C. Una straordinaria conferma della potenza dell’economia
romana e del primato della Penisola in quell’epoca.
MA LA POTENZA
ha i suoi lati oscuri e mostra la multiforme umanità che ha contribuito
a costruirla. La rivolta di Spartaco, che con 70mila uomini infligge
non poche sconfitte all’esercito romano, rivela la natura multietnica
del proletariato dell’epoca: «Schiavi-merce portati da ogni angolo del
Mediterraneo. Uomini soprattutto, ma anche donne e bambini acquistati
sui mercati orientali», oppure prigionieri di guerra trascinati a Roma
come bottino (Orietta Rossini).
Il carattere internazionale della
storia della Penisola non è meno rilevante quando, nel medioevo, la
potenza sovranazionale dell’Impero vive solo nell’immaginario dell’epoca
e l’Italia non è neppure uno stato-nazione. Ma le sue città sono già
terminali dell’economia-mondo.
Nel saggio 1088 Una comunità
sovranazionale basata sulla conoscenza (Annick Peters-Custot) l’autrice
mostra come l’Università di Bologna – che ha avuto più seguito e fortuna
della scuola medica salernitana – diventi, a partire da quell’anno, uno
straordinario centro di attrazione mondiale dei giovani dell’epoca,
ansiosi di conoscenza e di manifestare il libero pensiero. Un’altra
città, Firenze, che nel 1252 avvia la coniazione del fiorino d’oro –
dopo un millennio che l’oro era scomparso dalla monetazione – ne fa «il
dollaro della crescita medievale», destinato a governare il commercio
internazionale. Mentre, nello stesso anno, viene coniato a Genova il
«genovino d’oro», Firenze e la Penisola vengono acquistando «una
posizione di primo piano nell’economia europea» (Franco Franceschi).
ANCHE
IN ETÀ MODERNA e contemporanea, tra primati e fallimenti, il profilo
della nostra storia appare inscindibilmente legato a quella di altri
popoli e di altri spazi nazionali e continentali: per commercio,
migrazioni, guerre e avventure coloniali, influenze culturali (arte e
cibo soprattutto) e perfino sport. C’è un 1982 Italia-Germania 3 a 1
(Fabien Archambault) a indicare la popolarità identitaria guadagnata dal
calcio in Italia e il nuovo prestigio mondiale acquisito in questo
sport. Felice poi la chiusa del libro con la tragedia dell’affondamento
del peschereccio di migranti, africani e asiatici, di fronte a Lampedusa
il 18 aprile 2015 (Ignazio Masulli).
Una vicenda che ci ricorda
come le Penisola continui a essere terra d’incrocio dei destini di vari
popoli e come il nostro abbia concorso, e concorra, nel bene e nel male,
alla storia degli altri, per farne una vicenda plurale comune.