venerdì 10 novembre 2017

il manifesto 10.11.17
Internazionale   
L’accoglienza di Xi ipnotizza e smorza Trump
Cina/Usa. Toni moderati e apertura al negoziato con Kim. Il deficit commerciale con Pechino «è colpa di Obama»
di Simone Pieranni

Giunto in Cina, ricevuto in pompa magna dalla impeccabile organizzazione cinese, Donald Trump ha notevolmente abbassato i toni su tutte le questioni in sospeso tra Washington e Pechino. Tanto che, se dovessimo immaginare l’incontro con Xi Jinping come un match di boxe, la sensazione è che Pechino abbia vinto ai punti.
Non a caso il leader cinese ha definito l’esito dell’incontro uno «storico nuovo inizio» a sottolineare un suo successo diplomatico, seppure parziale. Lo scopo della Cina prima del viaggio di Trump in Asia, tanto sulla Corea del Nord, quanto sulle tensioni commerciali con gli Usa, è parso quello di voler prendere tempo: le parole di Trump sulla questione legata al nucleare di Pyongyang e sulla «imbarazzante» – come la definì lo stesso Trump – condizione della bilancia commerciale Usa Cina, sembrano evidenziare un fatto: Washington in questo momento è costretta ad accettare che a condurre il gioco sia Pechino, forte della sua nuova immagine internazionale.
L’accoglienza di Xi a Trump, definita dalla stampa cinese degna di una «visita di stato extra», è stata apprezzata e sottolineata da The Donald ma ha anche significato una manifestazione di forza millenaria – potente e astuta – da parte di Pechino. La giornata trascorsa alla Città Proibita, tra cene e opera di Pechino (con tanto di video della nipote di Trump Arabella Kushner impegnata a parlare cinese e già diventata da tempo un «meme» in Cina) hanno funzionato: Trump è apparso stordito da tante attenzioni finendo per esaltare il numero uno cinese in modo iperbolico. «Un uomo speciale», con cui si sarebbe creata una «grande alchimia»: così Trump ha inaugurato il suo dialogo con Xi , conclusosi con il discorso nella Grande sala del popolo.
Non che ci si aspettasse granché, ma questo tanto atteso meeting è sembrato molto più scenografico che reale dal punto di vista di accordi e soprattutto di soluzioni.
Sulla Corea del Nord – tema caldo in agenda – non si possono considerare i toni più concilianti di Trump come un vero passo in avanti. Trump ha ribadito la necessità di arrivare a un negoziato, ma poco prima di partire dal Giappone aveva espresso nuove minacce. La percezione che si siano riaperti canali tra Pechino e Pyongyang sembra poter fare sperare per il meglio, ma Trump ha avvisato: «bisogna fare in fretta».
E oggi in Vietnam per l’inizio dei lavori dell’Apec incontrerà anche Putin; probabile che si faccia un punto finale del viaggio e delle conseguenze per la crisi coreana: al ritorno negli Usa di Trump forse sarà lecito attendersi qualche novità al riguardo, benché le posizioni rimangano molto distanti.
La Cina non è intenzionata a portare Kim a un tavolo senza garanzie americana sulla propria presenza militare in Corea del Sud. Washington sembra chiedere, invece, prima un «sì» di Kim a dialogare e poi eventualmente procedere per trovare un difficile compromesso.
Poi è stato affrontato il tema della bilancia commerciale tra i due paesi, attraverso un gioco delle parti spassoso per analisti e storici ma poco significativo nella pratica.
Il cruccio di Trump, fin dalla campagna elettorale, è il fatto che gli Usa importano dalla Cina molto più di quanto vi esportano. Questo dato a Washington viene letto come il risultato di politiche volute dalla Cina attraverso l’uso di moneta, incentivi statali e basso costo del lavoro. Dopo gli strali però, in Cina Trump ha rigirato la frittata: la colpa di questo, ha raccontato, non è affatto di Pechino bensì di Obama, troppo leggero nel difendere gli interessi «del popolo americano».
Xi Jinping non aspettava assist migliore per sostenere le ragioni cinesi e tornare a decantare l’ascesa pacifica della Cina. Non a caso ieri sono stati comunicati accordi e investimenti per 250 miliardi di dollari. Ma a parte i 9 effettivi di accordi immediati, il resto è sospeso nel tempo e nell’evolvere delle relazioni tra i due paesi. Xi Jinping, che appare sornione ma ha le mosse del cobra, ha detto che Usa e Cina devono partire da questi accordi per «formulare e lanciare un piano per la prossima fase delle relazioni economiche bilaterali».
I due paesi devono portare avanti «discussioni approfondite sui fronti degli squilibri commerciali, le restrizioni all’export, l’ambiente per gli investimenti, l’apertura di mercato e altre questioni». La Cina, ha aggiunto Xi, è aperta alla cooperazione pratica con gli Stati Uniti nei campi «dell’energia, delle infrastrutture e nel contesto del progetto di Nuova via della Seta». Quest’ultimo riferimento non sarà sfuggito ai più: per la Cina gli Usa sono ormai un interlocutore come tanti altri, al di là dell’accoglienza di facciata riservata al presidente americano: Pechino è lanciata sulla Nuova via della Seta. Con o senza «l’amico» Trump.