venerdì 10 novembre 2017

Il Fatto 1011.17
I “signori del mondo” e il risiko dei sorrisi
Vertice asiatico - Donald, Vladimir, Jinping tra business, sanzioni e guerre
di Giampiero Gramaglia

La partita a tre si gioca da oggi in Vietnam, dove Trump, Xi e Putin, i ‘Signori del mondo’, almeno di quello che s’affaccia sul Pacifico, si ritrovano per il vertice dell’Apec: i presidenti americano, cinese e russo avranno una serie di riunioni plenarie e incontri bilaterali. Per Trump, è il ‘gran finale’ d’una missione asiatica concepita tutta in crescendo: prima, il conforto degli alleati, Giappone e Sud Corea, senza neanche l’emozione – causa maltempo – di scrutare la frontiera più militarizzata al mondo, quella tra le due Coree; poi, Pechino e il gioco cinese degli inchini, figurati certo, ma inusuali per i modi spicci di The Donald. Che, vanesio com’è, ha gradito l’accoglienza “imperiale” e che la stampa americana ha sottolineato.
I media hanno anche notato il cambio di tono, se non di passo, di Trump l’Asiatico. E s’interrogano se la versione ‘educata’ del magnate presidente sarà pure protagonista dell’incontro con Putin, i cui dettagli sono stati definiti nelle ultime ore. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dice ovvietà: “Non c’è un’agenda concordata, ma sarà una buona opportunità per scambiarsi opinioni sui temi più importanti bilaterali e multilaterali”. L’incontro, il secondo faccia a faccia fra i due presidenti, dopo quello in estate, a margine del G20 di Amburgo, potrebbe non restare un episodio isolato: Peskov precisa che Putin e Trump “avranno l’occasione d’incontrarsi più volte a margine del vertice, se lo riterranno necessario”. La delegazione americana è più cauta: il segretario di Stato Rex Tillerson non dà neppure per certo il colloquio a quattr’occhi.
Sull’agenda, di cui Peskov nega l’esistenza, c’è senz’altro la Corea del Nord, un argomento costante della missione asiatica: ieri, il Cremlino apprezzava l’invito a cooperare e l’apertura a negoziare venuti da Trump, che però con il dittatore di Pyongyang, Kim, alterna da mesi il bastone e la carota. A Pechino, Usa e Cina paiono avere una linea comune: applicare le sanzioni dell’Onu e dialogare.
Si parlerà pure di Medio Oriente, dove Mosca ha di molto aumentato la propria influenza, a causa, o grazie, a seconda delle prospettive, alla decisione degli Usa di ‘tenersi alla larga’, salvo i raid aerei anti-Isis. Ma Usa e Russia s’affrontano nella regione per interposti alleati: Arabia Saudita e Iran sono ai ferri corti.
Con Trump, Putin potrebbe sollevare il problema delle sanzioni alla Russia per la vicenda ucraina, che azzoppano l’economia; e anche quello delle accuse di doping allo sport russo, che sono vissute come una congiura infamante. Si ignora, invece, se e come sarà affrontata la questione Russiagate, le interferenze russe ‘pro Trump’ nelle elezioni presidenziali.
A Pechino, Xi e Trump hanno firmato accordi da 250 miliardi di dollari: non solo, o non soprattutto armamenti, come a Ryad a maggio e a Tokyo e Seul, all’inizio della settimana. Il magnate presidente cambia verso rispetto ai mesi scorsi e afferma ora di volere relazioni “sempre più forti” con la Cina e mena vanto della “grande chimica”, cioè dell’ottimo affiatamento, con Xi. E l’enorme deficit commerciale? Passato in cavalleria.
Dagli Stati Uniti, passata la sbornia elettorale di un martedì nero per i Repubblicani, inseguono Trump le critiche per il tentativo d’imporre la vendita della Cnn come condizione al ‘matrimonio’ fra At&t e Time Warner. Per i paladini della libertà di stampa, il presidente sta compiendo un abuso: “È il comportamento dei leader nelle dittature, non nelle democrazie”. A scuola ieri da Xi, oggi da Putin, Trump avrà pur qualcosa da imparare: o è solo lui il maestro della museruola alla stampa?