venerdì 10 novembre 2017

Corriere 10.11.17
Una mediazione in extremis per scongiurare l’isolamento
di Massimo Franco

La sfasatura tra quello che una parte crescente del Pd ritiene si dovrebbe fare, e le intenzioni del vertice, si sta accentuando. E si è radicata la convinzione che ormai non possa essere Matteo Renzi a mediare con il resto della sinistra. In teoria, potrebbe assumere un ruolo centrale il premier Paolo Gentiloni, al quale si attribuisce, forse con un eccesso di ottimismo, la possibilità di recuperare un rapporto con Pietro Grasso, Mdp, Giuliano Pisapia. Il problema è che si tratta di una centralità teorizzata da chi cerca di convincere il leader del Pd ad accettare rapidamente la nuova fase.
Accettazione improbabile. Il rapporto tra il partito e il presidente del Consiglio vive di sbalzi che risentono di quelli di un leader teso ad archiviare la sconfitta in Sicilia; e in sofferta e larvata competizione con Palazzo Chigi. Quando i renziani chiedono a Renzi di «permettere a Gentiloni di farsi garante di un patto», implicitamente additano l’ostacolo; e il premier non si presta a manovre contro il segretario. Inoltre è difficile chiedere a un leader legittimato dalle primarie e assecondato finora nelle sue scelte, di farsi ridimensionare perché c’è stato il voto siciliano.
Eppure, col nuovo sistema elettorale, allearsi è indispensabile per non finire all’opposizione. E dunque si immagina un asse con Emma Bonino e Carlo Calenda da una parte, e quanti se ne sono andati dal Pd dall’altra. Ma quando Grasso dichiara di non essere «uscito dal Pd, è il Pd che non c’è più», chiude la porta. Una corsa solitaria, è stato calcolato, potrebbe ridurre il numero dei parlamentari dem alla Camera della metà: sebbene nella cerchia renziana si confidi di perderne meno di cento, rispetto ai 283 di oggi.
Soprattutto, aumenta la preoccupazione per un Pd che, da partito del sistema, sta slittando su una china che cancella il ruolo storico di perno. La polemica su Bankitalia, fatte salve le pecche imputabili alla vigilanza dell’istituto di emissione, ha assunto toni che seminano perplessità. E sui vitalizi da abolire per gli ex parlamentari, le obiezioni non sono tanto sul merito ma sul metodo scelto dal vertice dem, che rischia di favorire il M5S. In più, dopo l’offensiva contro la conferma del governatore Ignazio Visco, si è incrinato il rapporto con il Quirinale, preoccupato dai riflessi internazionali.
Lo sfondo sul quale il partito maggiore si avvia alla campagna elettorale è questo. E rispetto all’esigenza di recuperare sponde, i segnali sono opposti. Un Renzi attorniato da consiglieri che alimentano la sindrome dell’accerchiamento non appare disposto a rivedere la strategia. E i tempi stretti frustrano i progetti di tregua. Mancano quattro giorni alla direzione di lunedì, e un segnale potrebbe essere dato. Ma è più verosimile che si aggravi la spaccatura a sinistra; e che il Pd serri le file per limitare i danni.