mercoledì 8 novembre 2017

Il Fatto 8.11.17
Leader e dittature. Il vero pericolo della democrazia è la classe dirigente
risponde Furio Colombo

Analizzando il trascorrere della storia dopo l’ultimo conflitto mondiale, si può affermare che il nemico della democrazia siano le dittature. Ma oggi la realtà dei fatti evidenzia un’altra tesi: il vero pericolo della democrazia è dentro la democrazia stessa, vedi la salita al potere di figure quantomeno contraddittorie come Erdogan, Putin e Trump, personaggi indiscutibilmente antidemocratici. Un paradosso, perché niente è più democratico delle libere elezioni. Anche in Italia si intravedono prassi dirette a conseguire un sistema oligarchico: in Parlamento si è fatto uso con modo disinvolto dei regolamenti per elaborare una legge elettorale più idonea a tutelare i nominati dai notabili dei partiti a discapito della volontà degli elettori. Ecco che allora il concetto di democrazia viene meno, configurando come la democrazia per essere tale e compiuta abbia l’essenziale bisogno di una attenta e incessante evoluzione culturale e sociale. Quando questo processo politico viene a mancare, si instaura un inesorabile deterioramento che mina le fondamenta su cui si basa una solida democrazia popolare. Ma questa deriva istituzionale non sembra preoccupare minimamente l’indifferente classe dirigente che contraddistingue l’attuale panorama politico, il che è tutto dire.
Silvano Lorenzon

Caro Silvano Lorenzon,c’è una frase all’inizio della sua lettera che è il punto caldo (e cruciale) del discorso che le sta a cuore. Lei scrive: “Oggi la realtà dei fatti evidenzia un’altra tesi: il vero pericolo della democrazia è dentro la democrazia”. Seguono però tre esempi che non sostengono la sua argomentazione.
Erdogan, il presidente turco, non è al momento al potere per un processo democratico, ma dopo un colpo di Stato che si regge su decine di migliaia di prigionieri politici. Putin ha creato e controlla (da ex capo dei servizi segreti del suo Paese nel precedente regime) un suo meccanismo istituzionale che sembra fondato sul voto, ma si sostiene grazie a una nervatura di potere su cui chiunque abbia tentato di far luce non è sopravvissuto. Trump è alla Casa Bianca per libere elezioni democratiche, ma è contestato con forza non solo da quasi tutti i media americani (vere e proprie roccaforti di libertà democratica), ma anche da autorevoli personaggi del suo stesso partito, dal 60 per cento dell’opinione pubblica americana, da istituzioni che indagano su alcuni aspetti oscuri delle elezioni presidenziali. Negli Usa siamo dunque di fronte a una democrazia che resta forte e si difende bene.
Tutto ciò non basta a negare ciò che lei nota sulle vicende italiane (specialmente le più recenti) e, credo di poter dire, su vicende europee dello stesso basso livello (la questione catalana, l’abbandono degli emigranti). Non parlerei di indifferenza della classe dirigente, ma di classe dirigente scadente e coinvolta nel malaffare della cattiva politica. Il deterioramento della democrazia in cui viviamo c’è, ma non è inesorabile, nel senso di un non ritorno.
Io non credo che lei e io, mentre ci scambiamo queste righe di tensione e di ansia, siamo soli in Italia. È il Paese di Gramsci, Gobetti, dei fratelli Rosselli e non diventerà un’altra Polonia, un’altra Ungheria.
Furio Colombo