Il Fatto 8.11.17
Il cannolo siciliano
di Silvia Truzzi
Breve
apologo di come il cannolo può andare di traverso, ovvero di come il
voto in Sicilia ha fatto saltare i calcoli tattici alla base
dell’accordo tra Pd, Forza Italia, Lega (e la fu Ap del fu Alfano) sulla
legge elettorale. I furbetti dell’accordino, lato sinistro, ieri hanno
avuto un brutto risveglio. L’idea dell’ennesimo governo di larghe intese
– o, come più elegantemente chiamano l’inciucio, governo del Presidente
– con il Pd alla guida è ormai del tutto improbabile. Lunedì, per dire,
a risultati acquisiti i democratici si sono accorti con sgomento che,
in Sicilia, perderebbero tutti i collegi anche alleati con la sinistra
aggregata (Mpd, Possibile, Campo progressista): la vittoria andrebbe o
ai candidati di centrodestra o a quelli dei Cinque Stelle. Ieri su
Avvenire Arturo Parisi, oltre a ribadire ciò che su questo giornale
ripetiamo da settimane (quelle Rosatellum non sono coalizioni per il
governo, ma alleanze strumentali) spiegava con chiarezza che “La nuova
legge prevede che ogni partito cerchi di conquistare il maggior numero
di seggi, per consentire al proprio segretario di sedersi al tavolo
della trattativa post-elettorale e portare a casa il massimo possibile.
(…) Suggerisco ai politici di misurare le parole. Sorridere a tutti i
possibili alleati. Limitarsi ad attaccare solo chi si esclude in modo
assoluto da ogni forma di negoziato”. Su Renzi: “La condotta sulla legge
elettorale, più che una causa delle sue difficoltà ne è il segno più
sicuro”.
Invece il segretario ieri, oltre ad avvisare chi lo vuol
mettere da parte che non cederà di un centimetro, ha detto: “Se il Pd fa
il Pd e smette di litigare al proprio interno possiamo raggiungere,
insieme ai nostri compagni di viaggio, la percentuale che abbiamo preso
nelle due volte in cui io ho guidato la campagna elettorale: il 40 per
cento, raggiunto sia alle Europee che al Referendum”. Ora, a parte la
tenerezza che suscita l’ostinazione con cui rivendica una delle
sconfitte più clamorose della storia politica recente, riflettiamo su
quel numeretto magico, il 40 per cento. Che ci riporta all’Italicum,
sciagurata legge elettorale pensata in tandem con l’altrettanto
sciagurata riforma costituzionale che avrebbe abolito il Senato
elettivo, così tanto che fu prevista solo per Montecitorio e non per
Palazzo Madama: l’inizio di una serie di errori, dettati più da
avventato cinismo che da inettitudine. La Consulta ha dichiarato
incostituzionale il medesimo Italicum e dopo si è ripetuta la stessa
dinamica malata, ovvero ritagliare la legge elettorale esclusivamente
sulla base dei rapporti di forza di quel preciso momento. L’Italicum era
tarato sulla vittoria alla Europee del Pd (il premio di maggioranza
scattava al 40%), così come gli astrusi magheggi del Rosatellum sono
stati inventati contro M5s e Mdp, guardando i sondaggi. In entrambi i
casi l’arroganza del governo ha imposto il voto di fiducia su una legge
che invece necessita del massimo della discussione possibile. Si dice
che è irrealistico che i partiti non pensino ai loro interessi mentre
scrivono le regole delle competizioni elettorali. Vero, però esiste
anche l’interesse generale ad avere una legge elettorale chiara,
corretta, giusta. Interesse del tutto ignorato. L’effetto paradosso è
che si è voluto approvare il Rosatellum alla vigilia del voto (in barba
al Codice di buona condotta del Consiglio d’Europa): ora non c’è tempo
nemmeno per un’eventuale pronuncia della Consulta (va detto che la Corte
non può diventare l’insegnate di sostegno del Parlamento, incapace di
produrre norme legittime: è ormai una prassi ed è aberrante). Come
avevamo previsto, c’è la forte possibilità che il Rosatellum si riveli
un boomerang per i partiti che avrebbe dovuto aiutare: quando si
scelgono le scorciatoie capita di finire nei vicoli ciechi.