mercoledì 8 novembre 2017

Il Fatto 8.11.17
Mps, la tempesta perfetta: vigilanza e governo tremano
Perdite nascoste: tre inchieste fanno emergere sempre più le sviste dei controllori. Poi c’è la Commissione...
di Carlo Di Foggia

È inutile girarci intorno, le avvisaglie ci sono tutte: il groviglio giudiziario sul Monte dei Paschi di Siena è una tempesta perfetta che può rovesciare le cronache bancarie degli ultimi anni e travolgere i suoi attori. A oscurare il cielo ci ha già pensato la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Giovedì ha regalato un assaggio – la figuraccia di Bankitalia e Consob sulle popolari venete – di cosa può succedere. Ed è nulla al confronto del caso Mps.
Il quadro. I processi nascono tutti dall’inchiesta sulla disastrosa acquisizione nel 2007 di Antonveneta, pagata tre volte il suo valore. Bankitalia – governatore Mario Draghi – sapeva che Giuseppe Mussari stava suicidando l’istituto perché aveva appena fatto un’ispezione in Antonveneta, ma decise di rispettare la privacy del venditore, il capo del Santander Emilio Botin. Al centro dei processi ci sono però i trucchi con i derivati Alexandria e Santorini per occultare le perdite. E la loro contabilizzazione a bilancio può dare il via al terzo e più esplosivo filone. La linea di difesa degli imputati è unanime: Banca d’Italia sapeva tutto. E in questo quadro ogni procedimento è una via crucis per via Nazionale.
Andiamo con ordine. L’agenzia Bloomberg giovedì sgancia la prima bomba: al processo milanese che vede alla sbarra gli ex vertici di Mps (Mussari e il dg Antonio Vigni in testa) e alcuni manager di Deutsche Bank e della giapponese Nomura per aggiotaggio, falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza è emerso che Bankitalia sapeva fin dal 2010 che Mps aveva occultato 370 milioni di perdita su Santorini strutturando un derivato con la banca tedesca con cui incassava un utile di pari importo spalmando il “rosso” su più anni. Tutto riassunto in un report del 17 settembre 2010. Un alto dirigente di via Nazionale ha ammesso in aula che la mancata valorizzazione a prezzi di mercato (mark to market) dell’operazione permise di non svelare la perdita nel 2008, cosa che avrebbe cambiato la storia degli ultimi anni. Bankitalia si limito a riservarsi “approfondimenti” e non informò i pm, che ne vennero a conoscenza un paio d’anni dopo.
Palazzo Koch ha sempre sostenuto di non aver trovato nulla da segnalare nelle ispezioni del 2010, ma i conti non tornano. Nel verbale ispettivo – visto dal Fatto – la vigilanza che staziona a Siena da maggio ad agosto inserisce un capitolo finale in cui nota le anomalie dell’operazione simmetrica con Deutsche Bank: “Il Btp/repo di dicembre 2008 era contemporaneo a un altro di pari importo nominale intercorso con la stessa Deutsche e la controllata Santorini (…) il positivo esito finale della seconda operazione veniva a compensare le perdite allora in formazione in un collared equity swap tra i medesimi soggetti”. E mancano ancora diverse udienze prima della sentenza…
Sentenza che invece è attesa il 7 dicembre a Firenze al processo d’appello che vede imputati sempre Mussari e Vigni (condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi per ostacolo alla vigilanza). L’accusa è di aver occultato la ristrutturazione di Alexandria fatta con Nomura e mascherata con due operazioni legate all’acquisto di titoli di Stato italiani per miliardi di euro, fatte lo stesso giorno e con coincidenze inequivocabili. Gli ispettori che entrano al Monte a settembre 2011 guidati da Giampaolo Scardone (ispezionerà poi Pop Vicenza senza notare il bubbone del capitale finanziato con i prestiti) notano la coincidenza: “L’equiparazione nella sostanza, piuttosto che nella forma, a un Cds (derivato, ndr) era parsa l’unica soluzione plausibile”, ha spiegato Scardone, ma mancava “una prova provata che le due operazioni andassero insieme”. Prova che arriverà solo a ottobre 2012, quando Alessandro Profumo (presidente) e l’ad Fabrizio Viola scopriranno il contratto con Nomura (“mandate agreement”) nella cassaforte di Vigni (svelato dal Fatto a gennaio 2013).
Nell’arringa finale, giovedì i legali degli imputati hanno spiegato che furono dati agli ispettori tutti i documenti per capire Alexandria, come i deed, gli atti esecutivi del contratto. Se Mussari ha commesso l’ostacolo alla vigilanza, questa sembra farsi ostacolare. I guai che emergono nel 2011 sono infatti così grossi che a novembre – a ispezione in corso e con Draghi appena volato in Bce – Ignazio Visco “fa fuori” Mussari e Vigni e spedisce a Siena Profumo e Viola. In primo grado sono state dimezzate le richieste della procura. Un’altra limatura metterebbe in serio imbarazzo Bankitalia.
Ma l’imbarazzo supremo può arrivare il 10 novembre, quando a Milano il gup deciderà se rinviare a giudizio Viola e Profumo per falso in bilancio per la contabilizzazione a “saldi aperti” di Alexandria e Santorini. L’inchiesta, partita a gennaio 2016, si era conclusa con la richiesta di archiviazione dei pm, ma la procura generale l’ha avocata portando all’imputazione coatta: i due sono accusati di aver continuato a contabilizzare miliardi di derivati come titoli di Stato dal 2012 al 2015. Cosa rilevante perchè su quei bilanci è stato concesso il prestito statale da 4 miliardi dei “Monti bond” nel 2012 e sono stati chiesti (e persi) 8 miliardi al mercato. Per i consulenti della procura Corielli e Tasca, probabilmente il prestito non poteva andare in porto senza colpire anche i soci Mps (tra cui la Fondazione Mps). Bankitalia e Consob sapevano, eppure pochi giorni fa si è scoperto che i due sono indagati anche per “ostacolo alla vigilanza” in un filone anch’esso appena chiuso. Segnale dei timori per un processo esplosivo. Ed è solo l’inizio. E poi c’è la commissione banche…