sabato 4 novembre 2017

Il Fatto 4.11.17
La sabbia che ricoprì le vergogne della Storia
Un web doc risveglia la memoria sui 131 italiani lavoratori coatti massacrati dai tedeschi. Quattro sopravvissero
di Alessia Grossi

“Non si può dimenticare. Ma quando cade la ricorrenza a me piace andare a vedere il posto in cui sono stato sepolto”. Antonio Ceseri è l’ultimo ancora in vita di quattro sopravvissuti Nella sabbia del Brandeburgo. Erano in 131, gli Imi, parte dei soldati italiani catturati dai tedeschi e portati in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 che rifiutandosi di combattere nell’esercito di Hitler finirono ai lavori forzati. Antonio e gli altri, nella fattispecie, costruirono munizioni nella fabbrica di Treuenbrietzen nel Brandeburgo. Alla “ricorrenza” – il 23 aprile 1945 – sopravvissero in quattro. Antonio è l’ultimo tra loro che può ancora raccontarlo. La “ricorrenza” è quando è stato trascinato nella sabbia con gli altri 130, bersaglio delle raffiche dei fucili dei soldati tedeschi durata ore, alla fine della quale si è trovato sepolto dai corpi dei compagni.
“Tutti pensavano che fosse finalmente finita. Dopotutto i russi avevano liberato il lager. Invece ritornarono, i tedeschi. Sfondarono le porte urlando: ‘Raus! Raus!’. Sembrava sapessero di non avere molto tempo, ed erano armati. I lavoratori dei lager vennero radunati davanti all’infermeria. Vennero separati: qui gli olandesi. Russi e polacchi, di là. Poi furono mandati alla fabbrica. Tutti, tranne gli italiani”. Inizia così il viaggio che porterà Antonio Ceseri e gli altri al massacro.
“Erano tutti silenziosi, non potevano immaginare cosa gli aspettasse. Poi li portarono via. Alla cava di sabbia. Quando videro il luogo ebbero un presagio di cosa sarebbe successo. All’improvviso fu dato l’ordine: ‘Feuer’!”.
A raccontare una storia che fino a poco tempo fa era rimasta lì sepolta, è il web doc Nella sabbia del Brandeburgo – in tedesco Im märkischen Sand – che dopo decenni raccoglie i ricordi dei sopravvissuti, delle famiglie e le testimonianze della città di Treuenbrietze.
“L’idea del doc è nata dall’amicizia di Ceseri con Matthias Neumann, in seguito ad un’intervista al signore fiorentino che si trovava a Treuenbrietzen”, spiega Nina Mair, che con Neumann e Katalin Ambrus ha curato la regia del web doc. Un lavoro profondo e straziante che fa emergere e tiene insieme ogni aspetto della vicenda e che ha presupposto un lungo lavoro di ricerca. “Abbiamo raccolto materiale d’archivio, quello della propaganda, ma non avevamo molte immagini, a parte una foto aerea. Anche per questo motivo abbiamo deciso di utilizzare la forma animazione – chiarisce Mair, italiana residente in Germania – chiamando uno dei migliori, Cosimo Miorelli”. Si tratta dei sei episodi storici che arricchiscono il web doc: un progetto crossmediale in tre lingue (tedesco, italiano e inglese) che si dipana in 24 episodi tra passato, presente e futuro di Treuenbrietzen. Perché se la memoria di Antonio Ceseri “ha iniziato soltanto da poco a sciogliersi”, come racconta la figlia in uno degli approfondimenti sul sito del documentario, anche quella della cittadina tedesca ha dovuto “aspettare di essere matura” – secondo le impressioni di Mair – per poter mettere insieme i pezzi di una vicenda dalle letture contrastanti. Per non parlare dell’Italia, che da pochi anni affronta il tema. Con grosse difficoltà per le famiglie delle vittime del massacro di poter richiedere i corpi e uno Stato italiano di fatto assente. È di poche settimane fa infatti, il rientro – dopo 70 anni – dei resti di Michele Santoro, uno dei soldati uccisi nella sabbia di Brandeburgo, grazie unicamente ai suoi congiunti.
“La questione è controversa”, spiega ancora la regista Nina Mair. “Noi raccontiamo la storia tragica, il massacro di questi 127 uomini, ma anche quella degli internati militari italiani. Negli ultimi due decenni si è affermata la tendenza, condivisa da molti storici e anche dalle associazioni dei reduci, che gli ‘Imi’ siano stati parte della Resistenza per il loro ‘no’ all’esercito tedesco”, chiarisce Mair. Che si dice “d’accordo sul fatto che abbiano fatto resistenza”, ma che prende le distanze “dal definirli anti-fascisti, soprattutto se la questione viene inserita in un’altra tendenza più generale, di vedere l’Italia come vittima nella Secondo guerra mondiale – dimenticando, conclude la regista – o, per lo meno, minimizzando il resto della Storia fascista”.
Che poi è a parti invertite, l’atteggiamento della cittadina in cui è avvenuto il massacro, fino a qualche anno fa. “Mentre giravamo il doc abbiamo chiesto a diverse persone per strada ciò che è accaduto nella cava. Tra di loro c’è ancora chi prova a fare opera di revisionismo. Uno di questi è il direttore del museo locale, sospeso per aver dichiarato che non si sarebbe trattato di omicidio, ma dell’esecuzione di un ordine di guerra”, racconta la regista italiana.
Anche per questo motivo il web doc prodotto da Out of Focus Filmproduktion e finalista in diversi premi, è stato concepito anche per scopi didattici. “Sul sito c’è del materiale per gli insegnanti che vogliono utilizzare il doc nelle scuole. Abbiamo tenuto molte lezioni nelle scuole italiane”, dice Mair. Ma soprattutto, sono iniziati anche i viaggi nel Brandeburgo. “A gennaio abbiamo incontrato in una settimana un centinaio di studenti e studentesse di Reggio Emilia per prepararli a un viaggio della memoria. I viaggi si concentravano sui lavoratori coatti e Imi e si sono conclusi nella cava di sabbia di Treunbrietzen. Centinaia di studenti nella cava”. Per ricordare chi non ne è più uscito.