Corriere 4.11.17
1917-2017 La cronaca di Ezio Mauro (Feltrinelli) segue in presa diretta l’inizio del totalitarismo sovietico
Due rivoluzioni una contro l’altra Così la Russia diventò bolscevica
di Pierluigi Battista
Si
legge L’anno del ferro e del fuoco di Ezio Mauro (pubblicato
dall’editore Feltrinelli) ed è come se si percepisse per la prima volta,
di fronte allo spettacolo di un uragano sociale e politico, il
rumoreggiare del popolo russo in rivolta nel febbraio del 1917 a
Pietrogrado, lo scalpiccio dei cavalli delle milizie pronte a caricare,
il tintinnio dei bicchieri di un’aristocrazia che, ancora ignara,
celebra per l’ultima volta i suoi riti mentre fuori l’apocalisse è sul
punto di scatenarsi.
E poi ancora: lo sferragliare di due treni
che faranno la storia, quello su cui lo zar Nicola II firma la sua resa
con l’atto di abdicazione e quello che, dopo aver attraversato con il
sospetto del tradimento mille chilometri nel cuore della Germania
nemica, riporta alla Stazione Finlandia di Pietrogrado l’incendiario
Lenin dopo 17 anni di esilio, e inoltre, travolgente, la «musica della
rivoluzione» che tanto affascina i poeti come Aleksandr Blok, il rombo
di una guerra che non riesce a finire, e infine il colpo di cannone
dell’incrociatore Aurora sul Palazzo d’Inverno, che poi è il colpo di
grazia che sancisce la vittoria dell’Ottobre rosso.
Un’orchestra
di suoni dissonanti che Ezio Mauro ci restituisce in una cronaca
palpitante, come se il lettore non sapesse il modo e le circostanze in
cui le cose andranno a finire, quando un mondo stava crollando, tutto
era ancora possibile e la cappa di un’oppressione spaventosa durata
settant’anni non si era ancora chiusa. Rumori e suoni che in realtà, a
cent’anni di distanza, travalicano l’ambito temporale del 1917, perché
comprendono gli spari che nel dicembre del 1916 avevano colpito a morte
il «monaco nero», il misticheggiante Rasputin, padrone occulto del
destino dello zar, e infine il crepitio delle armi con cui nell’estate
del 1918, a Ekaterinburg, verrà sterminata dalle guardie rosse
bolsceviche la famiglia imperiale, sigillo finale di una rivoluzione che
cambierà il corso della storia.
Il reportage di Mauro, che a un
secolo di distanza torna con la stoffa del cronista a visitare palmo a
palmo i luoghi cruciali del 1917, si può dire che costituisca il
controcanto perfetto dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo di John
Reed. Qui c’è epopea e agiografia, inni e propaganda, nel libro di Mauro
si trova invece il racconto disteso dei mille segni di tempesta che
hanno fatto di quell’anno grande e terribile uno dei tornanti
fondamentali della vicenda storica novecentesca. Come se tutte le
passioni si concentrassero su un unico punto, dove le debolezze sono
destinate a diventare fatali indizi di morte, e i contrasti prendono una
nettezza spietata e irrevocabile. Leggendo le pagine di questo libro
noi cerchiamo di rivivere passioni ed esaltazioni, entusiasmi e
fanatismi, non attraverso la freddezza dei tradizionali libri di storia
che conoscono già gli esiti di quei sommovimenti e ricostruiscono le
tessere del puzzle già conoscendo le linee del disegno finale, ma
attraverso la microstoria della vita quotidiana che improvvisamente
assurge a manifestazione di una svolta epocale nelle vicende umane.
Ezio
Mauro perciò non minimizza il rimpianto per la strada che il 1917 di
Pietrogrado avrebbe potuto imboccare. E la certezza che non di una
rivoluzione unica si deve parlare, ma di due, di cui la seconda è stata
la tragica negazione della prima, quella del Febbraio, quella che getta i
primi germi del parlamentarismo democratico, che affronta la questione
sociale (il pane) nella Russia sfinita dalla guerra, che spezza il giogo
del dispotismo zarista consacrato, in un intreccio inestricabile di
potere e dominio mondano, nell’acquasantiera della Chiesa russa. Una
rivoluzione che apre alle libertà politiche, alle conquiste sociali, ai
diritti della parola e dell’opinione. E che verrà travolta
dall’inesorabile ferocia rivoluzionaria del partito leninista, che non
solo accorcia i tempi delle realizzazioni promesse nel febbraio, ma
rovescia con l’imperio della violenza l’ordine delle priorità, cancella
le libertà politiche per dare all’élite dei cospiratori bolscevichi lo
scettro di un potere assoluto.
Una rivoluzione che raggiungerà
nell’Ottobre il suo culmine grazie al genio politico-militare di Lev
Trotskij, descritto da Mauro con parole che svuotano la controversa
questione se i colpi contro il Palazzo d’Inverno senza una difesa
adeguata non possano considerarsi addirittura, anziché una rivoluzione
vera e propria, come l’ultimo, simbolicamente definitivo atto di un
colpo di Stato che aveva già consegnato il potere al partito dei
rivoltosi nelle pieghe della città, nei luoghi dove le cose contano
davvero e disseminate nella metropoli. Una descrizione delle condizioni
materiali di un popolo esausto, dei gangli della socialità russa, della
sensibilità di giganti della letteratura come Anna Akhmatova, i cui
versi rappresentano il canto del cigno di ogni speranza, inghiottiti da
un terrore senza fine che però ha lasciato intatta la grandezza della
poesia non allineata e non conformista. Cent’anni fa, restituiti in
queste pagine come se fossero raccontati da un giornale di oggi.