Il Fatto 4.11.17
Mafia Capitale e Micaela Campana. “Troppi non ricordo del tutto inverosimili”
Le carte - “Reticenza e falsità” emergono dalle parole di Micaela Campana del Pd
“Troppi non ricordo del tutto inverosimili”
di Antonella Mascali
La
primavera non ha portato bene a Nicola Zingaretti, che ora rischia un
processo per falsa testimonianza. È il 21 marzo, il governatore del
Lazio è costretto a deporre al processo Mafia Capitale. Si capisce
subito che vorrebbe essere ovunque tranne che nell’aula bunker di
Rebibbia: vieta pure di essere ripreso dalle telecamere. Il 19 ottobre
precedente, pur essendo un uomo delle istituzioni, esercitò il suo
diritto di indagato per un procedimento connesso per concorso in
corruzione e turbativa d’asta e si avvalse della facoltà di non parlare.
Con l’archiviazione della sua posizione, però, a marzo Zingaretti è
chiamato a testimoniare con l’obbligo di dire la verità. Ma per i
giudici di Mafia Capitale la sua deposizione è zeppa di dichiarazioni
che “non risultano convincenti” né per i rapporti che ha con personaggi
oggetto della sua testimonianza né per le intercettazioni in mano al
tribunale né per il contenuto di altre testimonianze.
Salvatore
Buzzi, che in passato lo ha finanziato con 10 mila euro regolarmente
registrati, lo ha accusato di avere stretto un accordo politico
spartitorio con la destra di Storace prima e di Luca Gramazio dopo, per
la gara Recup, il centro unico di prenotazione regionale. La Procura di
Roma indaga Zingaretti ma chiede e ottiene l’archiviazione non credendo a
Buzzi, ma i giudici del Tribunale sembrano pensarla diversamente.
Zingaretti, sotto giuramento, a marzo dice di non aver mai parlato di
Recup né con il suo “caro amico” Giuseppe Cionci né con il suo capo di
gabinetto Maurizio Venafro, accusati da Buzzi, e anche loro archiviati,
di essere i mediatori. “Se Cionci ci avesse provato – sostiene – avrei
rotto l’amicizia”. La gara Recup era da “40-60 milioni l’anno” e il
governatore sostiene di non essersene interessato “per trasparenza”.
Quando l’avvocato Piergerardo Santoro gli contesta le intercettazioni in
cui Buzzi e i suoi interlocutori parlano di Recup, nominando Cionci e
Venafro, mai Zingaretti, il presidente risponde: “E io che ne so?”.
La
gara, comunque, fu revocata “per autotutela”. Con il suo amico Cionci,
Zingaretti sostiene di non aver parlato neppure degli spazi pubblicitari
comprati dalla Provincia, quando lui era presidente, su Cinque, il
giornale di Cionci. Non credibile per il tribunale dato i suoi rapporti
di “antica amicizia”, di “assoluta fiducia” con Cionci e Venafro.
Zingaretti si dice “sereno sui fatti ma anche scosso: ho fatto della
legalità la mia ragione di vita”.
Anche la deputata e responsabile
del Welfare per il Pd Micaela Campana rischia un processo, com’era
ampiamente prevedibile dopo i suoi 39 “non so”, “non ricordo del tutto
inverosimili”, sui suoi rapporti con Salvatore Buzzi, per lei “grande
capo”. Il 17 ottobre 2016 riesce a far infuriare la presidente del
tribunale Rosanna Ianniello che a un certo punto esclama: “Lei è membro
della commissione Giustizia della Camera, dovrebbe sapere che il
testimone ha l’obbligo di dire la verità”. Per l’accusa, rappresentata
in aula da Luca Tescaroli, la sua testimonianza è segnata “da una serie
di bugie e reticenze smentite dal contenuto degli atti processuali”. È
la vicenda della gara per il Cara di Castelnuovo di Porto, che si è
aggiudicata la Eriches, del gruppo di Buzzi, bloccata per un ricorso di
concorrenti, l’esempio più significativo della testimonianza “smemorata”
di Campana che – è giusto segnalarlo – avrebbe potuto rifiutarsi di
deporre perché moglie separata dell’imputato Daniele Ozzimo, ex
assessore della giunta Marino.
Un’interminabile sfilza di “non so,
non ricordo” in merito a una interrogazione che Buzzi voleva a tutti i
costi. L’interrogazione non si fa, non perché, come testimonia la
deputata, lo decise sulla base delle carte ma perché glielo chiese
Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno. Bubbico “ha detto che al
momento c’è solo un articolo di stampa”, scrive Simone Barbieri,
collaboratore di Campana, a Buzzi. La stessa Campana si giustifica al
telefono intercettato con Buzzi al quale scrive alla fine :“Bacio grande
capo”. E la presidente Ianniello: “Il riferimento a Bubbico come lo
spiega?”. “Volevo far terminare le pressioni”. “Dunque era una menzogna –
prosegue la presidente – pertanto, se è il caso, mente?”. Campana,
balbettante: “È stato un modo”.