Il Fatto 30.11.17
Veleno in tribunale: così muore un generale-killer
Praljak suicida alla lettura della sentenza all’Aia: pulizia etnica in Bosnia
Slobodan Praljak aveva 72 anni, un passato prima artistico poi come comandante militare
di Pierfrancesco Curzi
Ecco
come muore un generale croato condannato per pulizia etnica,
incitamento all’odio religioso, detenzione e trattamento crudele contro
le persone. Forse Slobodan Praljak pensava di essere sul palco di un
teatro mentre, in risposta alla sentenza definitiva, ha portato alla
bocca una boccetta bevendone il contenuto. Dentro c’era del veleno e,
dopo lo show, Praljak è morto all’ospedale dell’Aia in seguito alle
complicazioni provocate dalla sostanza letale. Oltre al tipo di veleno
usato, resta da capire come sia stato possibile far entrare quella
boccetta in un’aula di tribunale. La notizia della morte ha suscitato
forti reazioni in Croazia: “Slobodan Praljak si è sacrificato per
provare che era innocente. Nella sentenza dei giudici dell’Aia non
esiste una sola parola che dimostri la sua responsabilità personale. Il
Tpi è un tribunale politico” ha detto Dragan Covic, a capo della
presidenza tripartita di turno. Oltre all’abbattimento dello Stari Most
(Ponte Vecchio), il ponte ottomano che unisce le due anime di Mostar,
Praljak è accusato, assieme ad altri imputati, tra cui l’ex presidente
croato, Franjo Tudjman, morto nel 1999, di voler annettere territori
bosniaci alla Croazia.
‘Bobo’ Praljak, faccione da Babbo Natale,
ingegnere elettronico diventato regista teatrale, addirittura docente di
filosofia, capace di trasformarsi in uno dei tanti militari privi di
scrupoli. Da capo dell’esercito prima e ministro della Difesa croato
poi, Praljak è stato uno dei tasselli del mosaico criminale messo in
atto tra il 1992 e il 1995 in Bosnia Erzegovina. Il teatro, ieri, era
quello del Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nell’ex
Jugoslavia (Icty) dell’Aia: “Non sono un criminale”, ha urlato Praljak
dopo la lettura della sentenza che confermava i 20 anni inflitti nel
2013. Poi il gesto e il caos nell’aula dell’Aia, dopo l’allarme lanciato
dall’avvocato: “Il mio cliente ha detto di aver bevuto del veleno”. Il
processo è stato sospeso. Con Praljak alla sbarra c’erano altri
imputati, tra cui Jadranko Prlic (gli altri sono Bruno Stojic, Milivoj
Petkovic, Valentin Coric e Berislav Pušic), allora premier
dell’autoproclamata Repubblica Croata dell’Herceg Bosna, nel 1991,
qualcosa di simile alla Republika Srpska.
E qui le analogie con la
parte serba del male dei Balcani si fanno più ficcanti, paragonando
Praljak, con la verve filosofica e teatrale, all’ideologo della Rs,
Radovan Karadžic, medico e poeta da strapazzo prestato alla causa
genocidiaria. In comune i due, fino a ieri, avevano i carichi
giudiziari: più pesante quello di Karadžic, condannato a 40 anni nel
2016. Lo Stari Most è stato ri-edificato nel 2004, rispettando disegno e
stile originale, tirato giù dagli obici delle armate croate il 9
novembre 1993. Dietro quella decisione c’era proprio Praljak. Abbattere
un ponte, nell’immaginario collettivo, non può avere lo stesso peso
delle esecuzioni di massa ad Ahmici, degli stupri etnici o della
creazione dei campi di concentramento a Dretelj, Gabela e Heliodrom.
Quella ferita è stata sanata, ma l’atmosfera a Mostar (e nel resto della
Bosnia e della Federazione croato-musulmana) è tesa. Per ora la
tensione deborda in intemperanze tra le due squadre calcistiche di
Mostar, il Velez e il cristiano Zrinjski. Martedì sera, proprio sul
ponte vecchio, i cristiano-cattolici hanno organizzato una veglia per
pregare a favore dei sei ‘Eroi croati’. Tra loro, uno è diventato
martire.