Il Fatto 29.11.17
Poche donne e poco lavoro: 100 mila neonati in meno
Meno 18% dal 2008: crisi economica e il calo demografico di 40 anni fa
Poche donne e poco lavoro: 100 mila neonati in meno
di Virginia Della Sala
Sempre
meno nascite, anche tra i migranti. Lo ha certificato ieri l’Istat, nel
giorno in cui è stato oltretutto presentato in commissione Bilancio un
emendamento che dimezza il bonus bebè: dal 2008 al 2016 sono nati 100
mila bambini in meno. L’anno scorso all’anagrafe ne sono stati
registrati 437.438, 12 mila in meno rispetto al 2015. Colpa della crisi,
ma non solo.
L’Italia sta scontando il calo delle nascite del
periodo che va dal 1976 al 1995, quando è stato toccato il minimo
storico di 1,19 figli per donna. Così, oggi le donne residenti in Italia
tra i 15 e i 29 anni sono poco più della metà di quelle tra 30 e 49
anni (il range 15-49 rappresenta “l’età feconda”). Meno donne in età
feconda (o più donne in età avanzata, seppur feconda) implicano meno
nascite. “Questo fattore – spiega l’Istat – è responsabile per i tre
quarti circa della differenza di nascite osservata tra il 2008 e il
2016”, ovvero 74 mila bambini non nati. “Durante gli anni 60 nascevano
quasi un milione di bambini all’anno – spiega Massimo Livi Bacci,
professore di Demografia all’Università di Firenze –, poi la natalità ha
rallentato. Un calo avvenuto nella gran parte del mondo sviluppato e in
parte di quello in via di sviluppo”. Quindi la flessione tra il 1976 e
il 1995: “Diverse le cause, dalla diffusione della contraccezione
all’aumento del livello di coinvolgimento delle donne nel mondo del
lavoro”. Il calo di almeno 25 mila nascite dipende invece da quella che
viene definita “diminuzione della propensione ad avere figli”. Si è
passati dalla media di 1,45 figli per donna del 2008 a 1,34 del 2016. In
questa fascia si trova “l’effetto crisi”, suffragato dal calo di primi
figli del 20 per cento su tutto il territorio. “La diminuzione – si
legge – è marcata anche nelle regioni del Nord e del Centro che avevano
sperimentato una fase di moderata ripresa, riconducibile soprattutto
alle nascite da coppie con almeno un genitore straniero”. Che, invece,
diminuiscono dal 2012. “Gli stranieri sono una quota relativamente
piccola della popolazione italiana (5 per cento, ndr) – spiega Livi
Bacci – non possono quindi influire più di tanto. Però, man mano che
l’immigrazione matura e che aumenta il tempo di residenza, le coppie
degli stranieri tendono ad adeguarsi ai comportamenti e ai livelli di
natalità della popolazione italiana”. Oggi hanno un tasso di fecondità
intorno a 1,9 figli per donna, molto inferiore alla media dei Paesi di
origine.
E anche se sembra essere in ripresa la propensione a
sposarsi, dato positivo perché – rileva l’Istat – è ancora forte la
correlazione tra nozze e natalità, resta il progressivo ritardo con cui
si arriva alle prime nozze causato dalle difficoltà lavorative. Come
dice l’Istat: “L’allungamento dei tempi formativi, ma soprattutto le
difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e
la diffusa instabilità del lavoro stesso”. Le donne senza figli saranno
il 21,8% di quelle nate nel 1976.
Insomma, in Italia esiste una
“questione demografica”, c’è una demografia molto debole che si riflette
nel rapido invecchiamento, nella bassissima natalità e che crea e
creerà dei costi per la collettività in termini di sviluppo sul lungo
termine. Le ricette? “Almeno tre: favorire tutto ciò che restituisca
autonomia ai giovani, che li renda finanziariamente ed economicamente
indipendenti prima. Poi, più donne al lavoro, visto che c’è bisogno di
due redditi in famiglia e minore differenza nei tempi dedicati alla cura
dei figli”.
Anche perché sul futuro pende un ulteriore problema:
“C’è e ci sarà uno squilibrio – conclude Livi Bacci – : si deve a questo
il fatto che l’età pensionistica venga aumentata. Ed è uno squilibrio
destinato ad ampliarsi con conseguenze economiche”. Saranno infatti più
difficili i trasferimenti tra la forza lavoro, che diminuirà, e i
pensionati, che invece aumenteranno.