Il Fatto 28.11.17
Stefano Massini
“I sogni sono la versione non autorizzata di noi”
Dopo il successo di “Qualcosa sui Lehman” lo scrittore torna con un romanzo su Freud
di Silvia Truzzi
C’è
quel passo della Tempesta di Shakespeare “Siamo fatti della stessa
sostanza di cui sono fatti i sogni” che tutti citano, il più delle volte
a vanvera, nemmeno fosse un interludio marzulliano con finale
interrogativo (“La vita è il sogno o il sogno è la vita?”). Stefano
Massini, drammaturgo e autore del meraviglioso Qualcosa sui Lehman (con
cui ha appena vinto il Super Mondello) torna in libreria con un romanzo
altrettanto colto e assai sorprendente, L’interpretatore dei sogni, in
cui viviseziona il testo più famoso di Sigmund Freud e lo fa rivivere
sotto forma di diario. Prima di cominciare l’intervista con lo
scrittore, è necessario un avviso: leggendo il romanzo onirico, si sogna
tantissimo.
Perché ha scelto di lavorare su L’interpretazione dei sogni?
Poco
cose sono simili al teatro come i sogni. Freud stesso dice “è un grande
spettacolo”, definendo la costruzione del sogno “rappresentazione
onirica”. Io mi sono sempre mosso a cavallo tra teatro e letteratura,
non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione. Sono sette anni che ci
lavoro, il tema mi ha sempre appassionato: dietro i sogni c’è la parte
non detta, irrisolta, di noi. Freud lo spiega benissimo: “Se esistesse
un essere perfettamente e completamente felice, non sognerebbe”.
Il sogno è davvero “materiale di scarto”?
Pensiamo
alla fase storica che viviamo: sui social network scegliamo quale
faccia di noi vogliamo che gli altri vedano. Quello che è importante che
il mondo sappia di noi: i social sono una grande vetrina dentro cui ci
mettiamo in mostra. Oggi più che mai viviamo sulla nostra pelle il tema
della “rappresentazione di noi stessi”.
È un Io spesso taroccato, però, basta pensare a quante foto ritoccate si vedono sui social…
È
un Io posticcio, certo: proprio per questo trovo irresistibilmente
interessante il sogno, dove abita la parte di noi che non vogliamo
mostrare. Mi sono molto appassionato a descrivere questa umanità così
diversa per cultura, condizione sociale, provenienza. Nel libro Freud
racconta i sogni di tutti, dalla moglie alla cameriera, dai colleghi ai
pazienti. C’è il caso, incredibile, di un paziente che era schizofrenico
e guarisce dalla malattia, ma di notte continua a sognare le cose che
faceva quando era malato. Questo porta Freud a dire che il pazzo è un
sognatore che crede profondamente in quello in cui sogna, mentre
abitualmente questo non avviene. Di solito diciamo “è solo un sogno”. Il
sogno è una versione secondaria di noi, ma la cosa più interessante è
che è una versione non autorizzata di noi stessi.
Il suo Freud
spiega: “Quel ‘non lo farei nemmeno per sogno’ la dice lunga su come
questo spazio creativo della nostra mente sia vissuto come un
ripostiglio dell’estrema periferia del pensiero e della morale”. È un
modo per difendersi?
Sì e, aggiungo, anche il sintomo di una
crisi. Credo che il Novecento sia segnato da due libri fondamentali:
L’interpretazione dei sogni e Il capitale di Marx, due testi che hanno
messo in discussione tutto quello che era stato acquisito fino a quel
momento, cioè il concetto di Stato e il concetto d’individuo borghese.
Freud con L’interpretazione ci dice “attenti perché l’individuo borghese
si regge su una finzione, in realtà ciò che desidera davvero lo vive in
un ripostiglio non autorizzato”. La borghesia è un’altra gabbia in cui
ci dibattiamo nel tentativo di essere all’altezza. Oggi è ancora più
vero: tutti i modelli che abbiamo, dai consumi all’aspetto fisico, sono
irraggiungibili. Freud un secolo fa ti diceva: guarda che questo non
essere all’altezza davanti al quale la società ti mette, noi lo scoviamo
durante i sogni. Marx ha messo in crisi tutto il resto: non c’è lo
Stato, ma la gabbia che tiene insieme ciò che insieme non può stare,
cioè le classi sociali.
Chi è il medico che scrive questo diario?
A
me non interessava scrivere un libro su Freud, come non m’interessava
farne uno sulla Banca Lehman. M’interessa sfruttare un tema come
pretesto per parlare di cose che riguardano me. Quando si scrive, si
parla sempre di se stessi, altro tema di cui si occupa Freud. Questo
libro non è un saggio, è un romanzo: mi sono servito di Freud per
raccontare cose che sono mie, anche se l’ho fatto dopo un lungo studio
dell’Interpretazione. Molti sogni sono i miei. Ce n’erano tanti anche in
Qualcosa sui Lehman.
Lei ha detto: la scrittura è un atto politico.
Sì,
a me non interessa scrivere della crisi della coppia. Non bisogna
cercare compromessi al ribasso, sulla base dell’assunto che il lettore
ha gusti mediocri: non è vero.
Ultima: lei crede alla psicanalisi come metodo terapeutico?
Io
credo che un essere umano possa aiutare un altro essere umano a venire a
capo di ciò che da solo non riesce a capire. Tutta la letteratura è
psicanalitica.
Vogliamo le prove.
Facilissimo: il padre
della letteratura italiana è Dante, la cui opera somma è la Commedia.
Cioè la storia di uno che si perde dentro una selva oscura e per uscirne
ha bisogno di un altro, che si chiama prima Virgilio e poi Beatrice,
che lo prenda per mano e gli faccia fare un percorso dove lui riesce a
mettere a fuoco quel che ha perso di vista.
di Silvia Truzzi | 28 novembre 2017