martedì 28 novembre 2017

Il Fatto 28.11.17
Il Pd consegna la “verità” ai giganti Usa del web
Con la scusa di una legge che non vedrà mai la luce, i dem vogliono dare le chiavi della censura ai privati Facebook & C.
di Marco Palombi

“Abbiamo una bozza, anche se molto affinata, che conta 8 articoli e ha come riferimento la legge in vigore in Germania. Abbiamo lavorato su quella e poi l’abbiamo adattata all’ordinamento italiano”. Rosanna Filippin, parlamentare Pd dell’area Martina (renziana), è la senatrice che sta mettendo a punto il ddl contro le fake news che i dem presenteranno a giorni.
È pressoché impossibile che questo ddl divenga legge entro la legislatura, ma la sua esistenza è grave lo stesso anche per il messaggio che contiene: i grandi social network, che peraltro in Italia sono solo Facebook e Twitter, sono gentilmente invitati a vigilare sulla “verità” online anche prima che intervengano un’Authority o un magistrato. Una privatizzazione dei limiti del dibattito pubblico assai pericolosa, persino al lordo delle eventuali buone intenzioni.
Cosa prevede, infatti, la proposta del Pd? Sostanzialmente di “responsabilizzare”, via sanzioni, Facebook e Twitter: le due aziende dovranno dotarsi di un sistema di recepimento dei reclami per le fake news, un meccanismo di autoregolamentazione interna simile a quello già imposto in Germania (e che non pare aver fermato i cosiddetti “populisti” alle urne). Spiega Filippin: “Il gestore ha l’obbligo di prendere in carico le segnalazioni di contenuti illeciti e, dopo verifica, se quanto pubblicato è manifestamente illecito, rimuoverlo entro 24 ore. In caso di dubbi inizieranno accertamenti per i quali il gestore ha 7 giorni di tempo prima di procedere”. Se i social non danno seguito alle segnalazioni, ci si può rivolgere al Garante per la privacy per i reati contro la persona, “mentre per i reati contro lo Stato interverrà il sostituto procuratore”. Le sanzioni vanno dai 20 mila euro per la pubblicazione di illeciti contro la persona non rimossi ai 5 milioni di euro in caso di assenza del sistema di autoregolamentazione.
In sostanza, i gestori delle piattaforme vengono incentivati a bloccare subito pressoché tutte le pagine “segnalate” per non incorrere nelle sanzioni: il “bloccato” dovrà poi dimostrare, se ci riesce, che non era il caso. Siamo, mutatis mutandis, alla celebre risposta dell’abate di Cîteaux durante l’assedio di Béziers, città in cui resistevano gli eretici catari: “Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”.
Per una volta dice parole non allineate politicamente il Garante per la privacy, l’ex deputato Pd Antonello Soro: “Quello che bisogna evitare è da una parte attribuire ai gestori delle piattaforme digitali il ruolo di semaforo, lasciando loro una discrezionalità totale nella individuazione di contenuti lesivi. E dall’altra evitare di immaginare di attribuire a un algoritmo (un’idea di Marco Carrai, ndr) il compito di arbitro della verità. Mi sembra davvero in controtendenza non solo rispetto alla storia del diritto, ma anche della cultura democratica e del buon senso”.
Curiosamente la proposta del Pd non fa propria neanche quella avanzata da protagonisti della guerra alle fake news come il giornalista Gianni Riotta: “La strada maestra è la trasparenza – ha scritto su La Stampa -. La riforma dell’editoria obbligò i giornali a render pubblici proprietà e bilanci, ma di troppi siti, a cominciare dal network Casaleggio-Grillo-5Stelle, non conosciamo proprietà, bilanci, introiti pubblicitari, uso dei dati degli utenti”. Legge difficile da scrivere senza “burocratizzare” il web, ma almeno più sensata se si ritiene che ci sia un’ingerenza russa nelle elezioni dei Paesi occidentali (i quali, se è concesso, ingeriscono anche loro). Quanti voti pesi la propaganda russa – e in generale quanti ne spostino le fake news – è però domanda senza risposta. Si rischia, cioè, di manomettere il dibattito pubblico per proteggerlo da un pericolo che forse non esiste.