sabato 25 novembre 2017

Il Fatto 25.11.17
Sinai, ecatombe in moschea. Il caos jihadista su Al-Sisi
Attacco degli estremisti islamici ai sufi durante la preghiera con bombe e mitra: l’imam a capo della funzione era stato minacciato
di Andrea Valdambrini

È di almeno 235 morti e 120 feriti il bilancio dell’attentato in una moschea nel nord della penisola del Sinai, in Egitto. L’attacco terroristico – il più grave dal 2013 nella regione e uno dei più sanguinosi nella storia egiziana – è stato sferrato nel villaggio di al-Rawda poco dopo la preghiera del venerdì. Per ricordarne uno di uguale intensità si deve tornare al 31 ottobre 2015 con l’esplosione in volo di un aereo di linea pieno di turisti: 224 morti.
I responsabili dell’attacco hanno usato esplosivi, lanciarazzi e fucili d’assalto. Alcuni di loro sarebbero stati uccisi durante il conflitto a fuoco con la polizia.
Anche se manca una rivendicazione formale, l’ipotesi più accreditata è che l’azione sia da attribuire all’Isis, che ha voluto colpire con ferocia un luogo di culto frequentato da musulmani seguaci del sufismo, una corrente mistica, considerata eretica dai jihadisti.
L’imam della moschea colpita dall’attacco, secondo fonti di stampa egiziane, organizzava due volte a settimana culti sufi e aveva ricevuto di recente minacce che puntavano a farlo smettere. Lo stesso prelato sarebbe stato caduto nel raid degli estremisti islamici.
Il presidente Abel Fattah al-Sisi, nemico giurato dei terroristi, in seguito all’attentato ha annunciato una “risposta brutale”, in effetti già iniziata con il bombardamento delle basi dei terroristi, nel quadro dell’operazione “Vendetta per i martiri”, che va avanti dal 2014.
“I jihadisti hanno voluto colpire esattamente i proclami del presidente, secondo cui il Sinai sarebbe pacificato”, commenta Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Ispi di Milano ed esperto di Egitto.
“Il terrore lancia anche un messaggio intimidatorio nei confronti della popolazione, che di recente stava collaborando con le forze di sicurezza egiziane e quindi voltando le spalle all’Isis”.
La violenza jihadista non è purtroppo una novità, in Sinai. Non più tardi di settembre, i miliziani del gruppo locale affiliato all’Isis avevano circondato alcuni blindati dell’esercito e ucciso 18 soldati in un’imboscata nei pressi di el-Arish, nel nord della penisola. A luglio ne erano stati uccisi 23 nell’avamposto di confine di Rafah. La regione, al confine tra Egitto, Israele e la Striscia di Gaza, è instabile fin dalla caduta del regime di Mubarak nel 2011.
Lo scontro tra i jihadisti del Sinai e Il Cairo è esploso dopo che al-Sisi ha preso il potere nel 2013, mettendo fine alla presidenza di Mohammed Morsi, leader di un partito legato al gruppo fondamentalista dei Fratelli Musulmani. Da allora, una lunga scia di attacchi a poliziotti e militari, in un’escalation di violenza nutrita anche dall’ostilità delle popolazioni beduine verso il governo centrale da cui si sentono abbandonati.
I gruppi jihadisti del Sinai giurano fedeltà al Califfato nel novembre 2014. Il principale tra questi è Ansar Beit al-Maqdis (“sostenitori di Gerusalemme”), i cui miliziani, si stima, sono tra i 1.000 e i 1.500. Il primo attacco firmato Isis risale all’ottobre 2014, quando furono uccisi 33 militari. L’allora primo ministro egiziano Irahim Mehleb descrisse la situazione del Sinai parlando apertamente di stato di guerra. Le autorità egiziane, sotto la guida di Al-Sisi, hanno cominciato allora l’operazione antiterrorismo “Vendetta per i martiri”, concentrata soprattutto sulla parte nord della penisola dove hanno luogo la maggior parte degli attentati. I jihadisti hanno intensificato gli attacchi (nel 2016 se ne sono ha contati decine).
Se il periferico Sinai rappresenta l’epicentro del terrore, anche le zone più centrali del Paese non sono risparmiate dagli attacchi di matrice islamista. È passato quasi un anno dall’esplosione di una bomba e contro la cattedrale cristiana copta di San Marco al Cairo, che ha fatto 25 morti e decine di feriti. La minoranza cristiana, nel mirino anche per la sua ostilità a Morsi, è stata colpita altre volte; nell’attentato alla chiesa di San Marco (2 morti nell’aprile 2013), e il 9 aprile con un duplice attentato kamikaze in due chiese durante la Domenica delle Palme: 48 le vittime.