sabato 25 novembre 2017

La Stampa 25.11.17
Il punto debole del Cairo
di Marco Bertolini

Quello che è avvenuto a Bir al-Abed nel Nord Sinai e che ha portato alla morte di oltre 200 persone ed al ferimento di 130 non è un semplice attentato ma un attacco complesso vero e proprio, nel quale all’iniziale esplosione all’interno di una moschea è seguito il fuoco di diverse armi automatiche contro i fedeli in fuga, ad opera di un numero imprecisato di terroristi. Insomma, un’azione di taglio militare, pianificata, manovrata e coordinata nel dettaglio, non la semplice opera sciagurata di un gruppetto di esaltati. A parte queste considerazioni operative, l’evento merita alcune considerazioni di carattere più generale.
Prima di tutto, c’è da considerare il teatro mediorientale nel suo complesso, nel quale si prospettano nuovi equilibri e probabilmente altre frizioni con l’ormai prossima sconfitta dello Stato Islamico (Isis) in Siria ed Iraq. Da mesi, infatti, assistiamo a riposizionamenti politici e a eventi tattici importanti, quali la rottura tra Arabia Saudita e Qatar per l’asserita vicinanza di quest’ultimo all’Iran, l’espansione curda a Nord dell’Eufrate in Siria con l’appoggio degli Stati Uniti fronteggiata dal riacquisito controllo da parte siriana della riva destra del fiume fino al confine con l’Iraq.
Inoltre, il recentissimo repulisti governativo del principe saudita Bin Salman (estremamente ostile all’Iran) motivato dall’onnipresente scusa della lotta alla corruzione, nonché le dimissioni, poi ritirate, del primo ministro libanese Hariri che rischiavano di far ripiombare il Libano nell’incubo istituzionale dal quale era appena uscito.
Infine, la prossima conferenza sulla pace in Siria tra Russia, Turchia e Iran potrebbe innestare un «virus» anche nella compagine Nato di cui gli Usa sono il capofila. Insomma, è in atto un complesso rimescolamento strategico, da parte dei principali protagonisti del conflitto siro-iracheno, dal quale potrebbe derivare una nuova fase operativa non più centrata in quel teatro, con l’impiego delle forze del Califfato in libera uscita. In tale eventualità, il Sinai dimostra di essere un’area di particolare criticità, vero e proprio tallone d’Achille del presidente egiziano Al-Sisi, nella quale l’esercito egiziano fronteggia da anni una guerriglia sempre più baldanzosa che ha allontanato le rotte del turismo internazionale trasformando il divertimentificio di Sharm el-Sheik in una vuota cattedrale nel deserto. Non giova certamente ad Al-Sisi, in tale contesto, neanche il raffreddamento delle relazioni con l’Arabia Saudita dopo l’apprezzamento espresso dall’Egitto nei confronti dell’intervento russo in Siria e il ridimensionamento del supporto offerto a Riad nella guerra agli Houti nello Yemen. I sauditi non gradiscono certamente, infatti, un’affermazione di Assad e vedono come il fumo negli occhi tutte quelle prese di posizione che possono essere a vantaggio suo o, peggio, a vantaggio dell’odiatissimo Iran, sponsor degli Houti e di Hezbollah. Un altro aspetto da considerare, anche se non il principale, è quello di carattere confessionale. Quella in cui si è sviluppato l’attacco è infatti una moschea sufi, espressione della componente più mistica dell’Islam, sia sciita sia sunnita, tradizionalmente contraria all’uso della forza e decisamente tollerante nei confronti delle altre religioni. Potrebbe, in altre parole, trattarsi di un sanguinoso avvertimento a quelle componenti musulmane, non solo egiziane, che prendono le maggiori distanze dall’Isis, accusato di vera e propria eresia per le azioni delle quali è responsabile. L’evento merita anche un paio di annotazioni sul ruolo dell’Italia. Nel Sinai opera dal 1978 un contingente internazionale per il controllo dell’applicazione degli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto nel quale l’Italia impiega una flottiglia di «pattugliatori» per assicurare il libero transito nello stretto di Tiran, all’imbocco del Golfo di Aqaba su cui si affacciano Egitto, Israele, Giordania ed Arabia Saudita. Il resto del contingente internazionale vigila su tutto il confine con Israele ed è stato ripetutamente interessato da azioni offensive da parte della guerriglia senza peraltro subire perdite importanti. E’ comunque certo che da ieri le «antenne» saranno tenute ancora più dritte. Infine, è da registrare la prontezza con la quale il governo italiano ed il presidente Mattarella hanno fatto giungere le espressioni del nostro cordoglio ad Al-Sisi, con l’assicurazione del nostro supporto nella lotta al terrorismo islamista, lotta di cui l’Egitto rappresenta un elemento fondamentale. Dopo il lungo gelo della «crisi Regeni», finalmente, un gesto di riavvicinamento, ancorché semplicemente dovuto e formale, del quale la stabilità del nostro bacino e la nostra sicurezza stessa non possono che beneficiare.