Il Fatto 23.11.17
Carattere Eugenio: è B. il male minore
di Antonio Padellaro
Noi
del Fatto Quotidiano dobbiamo essere sinceramente grati a Eugenio
Scalfari perché pronunciando una sola parola, anzi un solo cognome è
riuscito a rendere palese, lampante, solare, assodato, indiscutibile ciò
di cui eravamo straconvinti, ma che non riuscivamo a dimostrare fatti
alla mano. Un po’ come quell’io so ma non ho le prove di pasoliniana
memoria, fatte s’intende le debite proporzioni, poiché l’altra sera a
DiMartedì non si parlava fortunatamente di trame golpiste, ma più
modestamente delle prossime elezioni politiche.
Tema già
abbondantemente trito e ritrito, benché manchi ancora parecchio, finché
Giovanni Floris ci ha scossi dal sonno incipiente con un colpo d’ala e
un colpo basso che il Fondatore ha incassato da par suo. Cosicché, messo
dal bravo conduttore dinanzi a un angosciante rovello, scegliere dio ci
salvi tra Berlusconi e Di Maio, il venerando e venerato ospite non ha
frapposto indugio e ha esclamato con un sol fiato: “Berlusconi”.
Lo
sventurato rispose, avranno pensato nella redazione di largo Fochetti,
proprio mentre si stava per mandare in stampa, dopo “un cantiere di
ascolto e di riflessione aperto da 18 mesi” (il direttore Mario
Calabresi), il marmoreo restyling di Repubblica, atteso pensate da
almeno “6 anni”. E che in un nanosecondo il Sommo ha rischiato di
mandare, come diciamo dalle parti di Porta Metronia, in vacca. Insieme a
quell’antiberlusconismo che, egli ha svelato, non è più nel Dna del
giornale: sì lo stesso che un tempo ossessionava il Cavaliere con le
dieci domande per mandarlo in galera e che oggi lo blandisce per
riportarlo al governo.
Chapeau, abbiamo invece pensato noi attenti
studiosi del Tavecchio, e per due motivi almeno. In difesa della
libertà di coscienza sulla quale nella chiusa del suo editoriale
Calabresi invitava virilmente (per non dire altro) autori e lettori a
non fare i furbi: “La parola d’ordine è una sola: scegliere” (e Scalfari
infatti ha scelto Berlusconi). Ma soprattutto in onore del carattere di
Eugenio, non quello tipografico della nuova Rep, ma del grande
giornalista che più passa il tempo e più si concede il raro privilegio
della sincerità. A Floris ha evitato di rispondere con gli stucchevoli
giochini politichesi del né di qua né di là. E ha invece interpretato
con nettezza il nuovo spirito del tempo che impregna Repubblica e il suo
mondo di riferimento: meglio Berlusconi dei Cinque Stelle. Che per
Scalfari sono il vero problema per non dire una vera jattura.
Ci
risiamo con il male minore che però in questo caso non è come il
patriottismo, estremo rifugio dei furfanti secondo Samuel Johnson.
Sembra piuttosto l’autodifesa da un pericoloso corpo estraneo che non si
può controllare. Ai tempi d’oro di Repubblica giornale partito,
l’allora padre padrone metteva in vivavoce le telefonate deferenti dei
maggiori leader di partito in modo che si sapesse chi era a dettare la
linea.
Oggi, se pure quel fulgore si è spento, continua a
sopravvivere il giornalismo di relazione che fa sistema con il
capitalismo di relazione e con la politica di relazione. Con Berlusconi
“populista europeista” (boh) si può parlare, fa capire Scalfari, ci si
può mettere d’accordo. E infatti racconta che loro insieme, ai bei
tempi, si facevano grandi risate (e magari l’uno strimpellava Douce
France e l’altro accennava qualche passo di danza). Onestamente, ce li
vedete Grillo o Di Maio che si consultano con Calabresi?
Resta un
problemino: secondo tutti i sondaggi, i Cinque Stelle restano il primo
partito, con circa tre punti di vantaggio sul Pd e con almeno il doppio
dei voti di Forza Italia. Come può Scalfari auspicare un governo tra le
due minoranze Renzi-Berlusconi senza con ciò negare il principio di
maggioranza fulcro della democrazia rappresentativa? Di questo passo,
con un estremo sforzo di sincerità, egli potrebbe anche mettere in
discussione il suffragio universale. In fondo cos’è questa storia che un
voto vale l’altro? O che ogni testa è un voto, se poi non si guarda
cosa c’è dentro quella testa? Del resto, sbagliamo o nei suoi scritti
domenicali Scalfari si è dichiarato a favore di un potere oligarchico
concentrato nelle mani dei cosiddetti “migliori” e di pochi (non)
eletti?
E se quelli che vanno a votare sono sempre di meno, è proprio un male? Soprattutto se poi scelgono i partiti sbagliati?