Il Fatto 23.11.17
Affari e grandi guerre, il triangolo fra Silvio, il fondatore e l’editore
Dalla battaglia per la Mondadori con le sentenze comprate dal Cavaliere agli ultimi tentavi di fare impresa assieme
Affari e grandi guerre, il triangolo fra Silvio, il fondatore e l’editore
di Gianni Barbacetto
Il
triangolo no, Berlusconi non l’aveva considerato. Eppure Eugenio
Scalfari è riuscito a fare in tv l’elogio dell’ex Cavaliere. “Il
populismo di Berlusconi ha una sua sostanza”, ha detto il Fondatore. E
alla domanda di Giovanni Floris, “se dovesse scegliere tra Di Maio e
Berlusconi, chi sceglierebbe?”, ha risposto senza esitazioni:
“Berlusconi”. Il terzo del triangolo è l’Editore, Carlo De Benedetti,
che completa un ménage à trois burrascoso ma intenso, che si dipana in
quarant’anni di scontri e incontri e scontri. Grandi guerre e improvvise
alleanze. In cui, più che il giornalismo, pesano gli affari.
All’inizio
– era il 1979 – ci fu un incarico commerciale affidato a Scalfari dalla
famiglia Mondadori: vendere a Berlusconi Rete 4, che stava trascinando
nel baratro la casa editrice di Segrate. “Berlusconi ci invitò a cena ad
Arcore”, raccontò poi il Fondatore, “e fu quello l’inizio non dico di
un’amicizia ma di una conoscenza che col passare dei giorni e dei mesi
diventò molto cordiale”.
L’agente commerciale Scalfari portò a
compimento il suo mandato: “I contatti durarono a lungo, l’affare Rete 4
fu concluso. Ci vedevamo spesso finché lui cominciò ad occuparsi di
politica. Per metà diventò socialista (craxiano ovviamente)… Per l’altra
metà diventò democratico cristiano, vicino ad Andreotti e a Forlani”. E
allora la quasi-amicizia si interruppe, perché Eugenio preferiva De
Mita. Scalfari sparò contro Silvio – era il 1990 – articoli in cui lo
paragonò a Mackie Messer, il bandito inventato da Bertolt Brecht.
Anche
De Benedetti, intanto, aveva incrociato Silvio sulla sua strada. Nel
1985 aveva cercato di portare a casa a buon prezzo la Sme, industria
alimentare di Stato. Bettino Craxi chiese a Berlusconi di bloccare a
ogni costo l’operazione. Silvio eseguì: gli preparò una cordata
concorrente (Barilla, Ferrero, Fininvest) e l’affare sfumò. I due si
ritrovarono a fare i duellanti nella “guerra di Segrate”. La Mondadori
era diventata di De Benedetti e Repubblica si era integrata nel gruppo.
Ma Silvio si era mangiato tutto, anche comprandosi giudici e sentenza.
Poi però aveva accettato di spartire il bottino, lasciando Repubblica e
L’Espresso a Scalfari e De Benedetti. Ci fu uno strascico: 50 milioni di
lire di spese legali.
Non le voleva pagare nessuno, né
Berlusconi, né De Benedetti, né Carlo Caracciolo, il principe editore
del vecchio Espresso. “A quel punto dovetti intervenire io”, racconta
Scalfari, che propose a Berlusconi un baratto. “Riuscii a persuaderlo
promettendogli e dandogli la mia parola d’onore che se lui accettava di
pagare le spese legali io l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio
cioè eventuali notizie che lo riguardassero sarebbero state anzitutto
rese note a lui che ne dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta
sarebbe andata avanti come sempre accade in tutti i giornali… Il mio
impegno durò fino a quando divenne presidente del Consiglio”. Allora
sparò un’altra delle sue definizioni: non più Mackie Messer, ma “ragazzo
coccodé”, prendendola a prestito da Renzo Arbore.
Nel bel mezzo
del ventennio berlusconiano – e dunque anche antiberlusconiano – i
duellanti della Sme e della “guerra di Segrate”, De Benedetti e
Berlusconi, nemici accerrimi, anche antropologicamente inconciliabili,
diventano improvvisamente soci. Nel 2005 De Benedetti fonda la società
di investimenti M&C. Mission: salvare imprese in difficoltà. Si
diffonde la notizia che vi entrerà, con una quota consistente, anche la
Fininvest. La Borsa s’infiamma, il titolo s’impenna, la Consob
s’insospettisce e De Benedetti, accusato di insider trading, paga una
sanzione di 30 mila euro.
Ma la pubblica opinione, di cui i
lettori di Repubblica sono parte, s’indigna: ma come, l’Editore, dopo
guerre sanguinose per Sme e Mondadori, fa affari insieme al suo
arcinemico? Alla fine Berlusconi si sfila: troppe polemiche, troppe
insinuazioni (e forse pochi affari). I duellanti riprendono a duellare.
Dopo che una sentenza definitiva stabilisce, nel 2007, che la Mondadori
era andata a Berlusconi grazie a una sentenza comprata, De Benedetti
avvia una causa civile, chiedendo che Fininvest risarcisca la sua Cir
per avergli scippato la casa di Segrate. Porta a casa in primo grado,
nel 2009, 745 milioni di euro come “danno patrimoniale da perdita di
opportunità di un giudizio imparziale”: a scriverlo è il giudice
Raimondo Mesiano, subito messo in ridicolo dalle tv di Berlusconi per
via dei suoi imperdonabili calzini azzurri. Nel 2011 il risarcimento a
De Benedetti è ridotto a 540 milioni, che diventano 560 con gli
interessi. Nel 2013, nuovo ritocco: 494 milioni.
Quando il 29
settembre 2016 Silvio compie 80 anni, Eugenio unisce agli auguri
un’autocritica: “Sbagliai, non era affatto il ragazzo coccodé e ce lo
ritrovammo sul gobbo per vent’anni. E ancora non è finito”. E allora:
“Oggi dovrei fargli gli auguri e infatti glieli faccio anche se non ci
parliamo più dal 1994”. Del resto, “debbo dire che invecchiando è
migliorato, l’età porta guai ma anche qualche prestigio”.
Sarà la
comune senescenza a farli tornare più vicini? Ora Eugenio recupera
Silvio come populista “di sostanza” contro il populismo senza qualità
dei 5stelle. Si chiude il cerchio. Anzi il triangolo.