giovedì 23 novembre 2017

Il Fatto 23.11.17
“Mladic i nostri vicini serbi continuano a osannarlo”
I sopravvissuti alla “pulizia etnica” felici, ma hanno ancora paura dell’ideologia anti-musulmana che è rimasta intatta
“Mladic i nostri vicini serbi continuano a osannarlo”
di Cecilia Ferrara

“È tutta una bugia! È tutta una bugia!” Ratko Mladic dà in escandescenze quando il giudice del Tribunale Penale Internazionale dell’Aia, Alfonso Orie, decide di andare avanti con la lettura della sentenza anche se l’imputato, aveva tentato di posporla per problemi di salute, ipertensione, aveva detto l’infermiera. Ma a 22 anni dalla prima incriminazione nemmeno i giudici di un tribunale così pachidermico e controverso come il Tribunale dell’Onu per i crimini di guerra in ex-Jugoslavia poteva più aspettare.
L’ex generale dell’esercito serbo-bosniaco è stato condannato all’ergastolo per 10 degli 11 capi di accusa che gli sono stati contestati, tra cui genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Mladic era un militare di carriera dell’esercito jugoslavo che allo scoppio della guerra in Bosnia-Erzegovina è diventato il generale del neonato esercito serbo-bosniaco. Assieme a Radovan Karadzic leader politico dei serbi di Bosnia è stato l’ideatore della “pulizia etnica” dei territori della Bosnia-Erzegovina che secondo loro erano terra serba. Dovevano quindi essere deportati o eliminati i bosniaci musulmani e i croati che vi risiedevano. È lui che comanda l’assedio di Sarajevo: “Bombardateli fino a che non diventano matti”, dice in una registrazione telefonica dell’epoca. È lui che conquista l’enclave protetta di Srebrenica, strapiena di profughi da tutta l’area, entra in città accarezzando i bambini dichiarando la città “liberata”.
Il resto è storia. La separazione delle donne e i bambini dagli uomini (dai 12 anni in su) e lo sterminio avvenuto in pochi giorni. La prima incriminazione di Mladic da parte del tribunale dell’Aja è del 24 luglio 1995 e lui verrà arrestato in Serbia dopo una lunga latitanza solo nel2011.
“Da una parte ci aspettavamo l’ergastolo, dall’altra avevamo paura che per pressioni politiche gli dessero 40 anni come a Karadzic, che è un messaggio molto diverso”. A parlare è Azra Ibrahimovic, originaria di Srebrenica che oggi lavora in Bosnia Erzegovina con l’Ong Cesvi. “Quello che mi preoccupa sono i messaggi che si sentono dall’altra parte, quella dei serbi di Bosnia, dove lui viene glorificato viene chiamato eroe, nonostante la sentenza di oggi. Milorad Dodik, presidente della Republica Srpska ha dichiarato ieri che è un generale che ha fatto il suo lavoro con professionalità e onore, che lavoro è quello di compiere un genocidio e di sparare su civili? Questi sono i politici che dovrebbero guidare processi di integrazione e pace. Difficile parlare di futuro se siamo prigionieri di persone che vivono nel passato”.
Ogni sentenza per Azra è comunque un dolore. Ha perso il padre e il fratello in guerra, solo i resti del fratello sono stati ritrovati nel 2007 in Serbia “Hanno buttato il suo corpo nella Drina il fiume che separa la Serbia dalla Bosnia-Erzegovina e qualcuno lo ha tirato su e buttato in una fossa comune”. È stata profuga in Serbia, Macedonia prima di tornare in Bosnia e entrare addirittura nella Sarajevo assediata per fare un anno di magistrale. “È stato per inat – racconta – per dispetto, volevo continuare a seguire i miei desideri nonostante la guerra”. Anche la vita del ‘dopo’ non è stata facile: “Per tanto tempo non ho voluto parlare con i compagni serbi che mi trovavo all’università, ho lavorato molto su queste paure tanto che oggi la mia migliore amica è serba”. Più che un giudice insomma poté l’amicizia.