Il Fatto 23.11.17
Ora Scalfari vota Berlusconi: “Populista sì, ma di sostanza”
Conversioni
- Il fondatore di “Repubblica” va in tv e si rimangia 20 anni di
“guerra al puzzone”: “Preferisco lui a Di Maio”. È la scelta
dell’establishment per il 2018
L’outing – Scalfari a “DiMartedì” condotto da Floris su La7
Con De Benedetti e Caracciolo
di Daniela Ranieri
Nelle
ore in cui si scaldano le rotative che sforneranno la nuova Repubblica,
interamente scritta col carattere tipografico sobriamente ribattezzato
“Eugenio”, Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica e autorità morale, è
a La7, ospite di Giovanni Floris.
Esordisce dicendo che se il Pd
“sta esaurendo il suo ruolo”, nondimeno Renzi è il suo “nipotino” e non
si sente “il nonno di nessun altro”. La frecciata è per quelli di Mdp
(in particolare per Bersani che, macchiandosi d’ignominia, “fece la
corte ai 5Stelle”), colpevoli di aver abbandonato il tontolone
neoliberista al suo destino invece di farsi carico della sua prossima,
ennesima sconfitta.
I diseredati per Scalfari prenderanno tra l’8 e
il 10%, che “è niente” rispetto a quanto prenderà Renzi, peraltro
alleandosi con tutte le frattaglie della Repubblica. “Io sono perché si
rinnovi il Pd”, dice Scalfari ieraticamente: in questo senso gli pare
“notevole il colloquio che Renzi ha avuto con Macron”, due “pilastri
dell’europeismo” (Scalfari pensa che Renzi sia Bismarck, ogni tanto lo
critica e lo indirizza ma come Machiavelli farebbe col Valentino). Il
Fondatore sa bene che Renzi è europeista solo quando gli fa comodo, che
in lui convivono lo statista kitsch della portaerei al largo di
Ventotene e il bamboccione capriccioso delle bandiere europee tolte dal
set di Palazzo Chigi per fare una delle sue gradassate; ciò nondimeno,
del figaccio in Scervino apprezza il cinismo, e la tempra per fondare
l’unica cosa che per Scalfari conta più della democrazia: l’oligarchia.
A
questo punto viene fatto entrare Bruno Vespa, che come tutti sanno è
venuto a promuovere il nuovo libro che ancora deve uscire ma è già in
classifica (è come la Apple, ogni anno sforna un aggiornamento): si
intitola Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi,
da Hitler a Grillo; titolo che farebbe sorridere se non venisse dallo
stesso autore di Donne d’Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi (come
se uno storico del cinema scrivesse Latin lover. Da Rodolfo Valentino a
Er Mutanda).
La serata prosegue con geriatrica lentezza,
rassicurante come un documentario di Geo & Geo: l’incontro con
B. “quando lui non si occupava di politica ma di televisioni” (“era una
delizia”), il giardino con le tombe, il materasso a cuore… Ma
l’aneddotica sui mausolei e i bordelli di B. (che peraltro dopo la
sfilata delle ragazze a Un giorno in pretura non può più emozionarci) è
destinata a interrompersi. La bomba è grossa e Floris sa come
innescarla: accertato il decesso del Pd, “tra B. e Di Maio, chi
sceglierebbe?”. Scalfari incide su pietra: “Sono tutti populisti tranne
il Pd, però il populismo di B. ha una sua sostanza”. Basti pensare alle
dentiere e alle am-lire. Soprattutto, “B. è europeista, non sfegatato;
mentre Salvini no” (riecco B. argine contro i populisti), ergo “in caso
di estrema necessità può allearsi col Pd”, senza Salvini. Senza
dimenticare che B. “è un attore-autore, sceglie il tema e lo interpreta,
recita il suo testo”. E quindi? Qui Scalfari confessa: “Sceglierei B.”
Ma come? E i 20 anni di antiberlusconismo di Repubblica? E la distanza antropologica? E le 10 domande? E le Se non ora quando?
A
noi disillusi, la confessione di Scalfari pare coerente. Logicamente:
se non può vincere Renzi, che ha distrutto il Pd e in tre anni di
governo ha attuato un programma neoliberista di destra, perché non
votare B., che può allearsi con Renzi facendo argine contro gli odiati
populisti?
Storicamente: fu lo stesso Scalfari, in occasione degli
80 anni di Berlusconi, a rivelare un retroscena “divertente” della
“guerra di Segrate” tra il gruppo Espresso di De Benedetti e il magnate
della Tv. Il quale, sconfitto, si rifiutò di pagare le spese legali (si
sa come sono fatti questi ricchi quando c’è da pagare). Scalfari: “Dopo
molti suoi rifiuti riuscii a persuaderlo promettendogli e dandogli la
mia parola d’onore che se lui accettava di pagare le spese legali io
l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio cioè eventuali notizie
che lo riguardassero sarebbero state anzitutto rese note a lui che ne
dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta sarebbe andata
avanti”.
Non stupisce che oggi Scalfari difenda l’establishment,
rassicurato solo da un’alleanza tra i due migliori, si fa per dire,
lazzaroni su piazza. E tutto nel giorno del varo del nuovo font Eugenio!
(che a questo punto poteva pure chiamarsi Silvio).