Il Fatto 21.1.17
Comunisti su Marte: Toni Negri non sa più fare la rivoluzione
“Risoggettivare” l’azione delle masse
di Fabrizio d’Esposito
Il comunismo non è morto, nonostante la sobria insegna “Verano Marmi. Lapidi-Tombe-Cappelle”, proprio di fronte al minuscolo ingresso di Esc (Eccedi, sottrai, crea), centro sociale, meglio atelier autogestito di Roma, nel quartiere popolare di San Lorenzo. Minuscolo perché centinaia e centinaia di persone fanno fatica a entrare e poi a uscire. Per fortuna, non ci sono scosse di terremoto. Toni Negri è ormai canuto, ha la panza, anche se il viso resta asciutto e spigoloso, e ha ornamenti borghesi: piumino e pantaloni di lana. L’Esc è una babele di lingue. Inglese, spagnolo, un po’ di francese, al punto che un attempato professore si lamenta con un amico: “Il francese è in disuso, si sente solo inglese”. C’è una fila lunghissima al banco per le cuffie della traduzione simultanea. Sul palco un cartello in vernice verde avverte: “Sputiamo su Hegel”.
All’Esc di via dei Volsci, alle sedici, c’è in programma la conferenza dall’impegnativo titolo “Chi sono i comunisti?”. Tema denso, solenne che necessita di ore di discussione. Quattro, per la precisione. La prima parte dalle 16 alle 18. La seconda dalle 18.30 alle 20.30. È la Conferenza di Roma sul Comunismo, tutto con le maiuscole, iniziata giovedì scorso. Toni Negri è previsto nella prima parte, insieme con due francesi: Pierre Dardot, altro pilastro universale della critica al neoliberismo, e Morgane Merteuil, lavoratrice del sesso, cioè prostituta, e icona di un femminismo innovativo, capace di consentire alla donna ogni libertà, compresa quella di vendere il proprio corpo o di portare il velo. La platea si riempie in ogni anfratto. Non sono mille persone, ma quasi. Giovani in maglione e maglietta, dolcevita d’antan, facce mature e un po’ snob, capelloni di ieri, di oggi e di domani. È la sinistra eternamente prigioniera del Sessantotto, del movimentismo e del mito extraparlamentare, cui ha sempre fatto difetto l’organizzazione. Tra di loro anche volti noti: Oreste Scalzone, poi gli ex diessini Vincenzo Vita e Franca Chiaromonte.
Ma la Conferenza di Roma, “C17” in omaggio al centenario della Rivoluzione d’Ottobre, non vuole organizzare alcunché. L’obiettivo ambizioso è la speculazione filosofica per un nuovo Manifesto comunista dopo quello di Marx ed Engels. Punto di partenza: “Oggi il comunismo non ha alternative”. Soprattutto adesso che i vari socialismi reali non solo sono finiti, ma anche dimenticati. Si comincia con mezz’ora di ritardo. Lunga premessa dei moderatori, con domande, anzi “questiones” ispirate dall’analisi marxiana, e finalmente la parola va a Pierre Dardot. Venticinque minuti contro la definizione di partito e che riscoprono la Comune di Parigi. Tanta critica, tanta analisi, tanta teoria. Al solito nessuna prassi. Come bisogna formare la Comune? A che ora, in che giorno, con quali forme? Detto con il massimo rispetto per Dardot, nume del new communism insieme con il guru Slavoj Zizek.
I minuti passano e il linguaggio diventa sempre più di piombo. Soggettivizzazione, soggettività, rifeudalizzazione e violenza di genere, produzione e riproduzione e così via. Toni Negri parla dopo Morgane Merteuil, che ha posto un problema notevole: perché la liberazione delle donne viene dopo quella del proletariato? Negri legge, come gli altri relatori. Parte bene, stroncando i nostalgici della rivoluzione: oggi la “complessità” rende impossibile lo schema di una rottura violenta, basato su insurrezione popolare e guida all’avanguardia del partito. Ci sarebbe da aggiungere che Negri ha declinato in positivo il concetto foucaultiano di biopolitica, ma la questione è ardua, se non esoterica. Ignoriamola, da veri ignoranti.
Negri, dunque, salva il metodo democratico (in realtà, nel suo piccolo, il povero Berlinguer, capo di un partito contestato e gradualista, lo fece più di 30 anni fa, a Mosca) e si chiede allora come “risoggettivare l’azione rivoluzionare”? Già. Ossia come “la forza soggettiva della ribellione deve ripensare la democrazia in maniera rivoluzionaria”. E ancora: “Non destituzione dell’ordine presente ma potenza e azione costituente”. Domande profonde che implicano però di rubare al lessico liberale l’odiata parola di impresa. Ecco il busillis, ma nemmeno tanto: “Lenin diceva tutto il potere ai Soviet e al partito. Noi diciamo tutto il potere all’impresa sociale”. E qui torna il concetto decisivo, alla base del nuovo Manifesto e finanche dell’intervento di Dardot: il concetto di “Comune della cooperazione”, tenendo conto che “i prerequisiti per la fine del capitalismo ci sono tutti”. Cosa sia questo “Comune della cooperazione”, però, non è dato sapere in termini semplici. Questa benedetta “impresa sociale” come deve “produrre egemonia”?
Negri finisce e l’applauso è un’ovazione. A dispetto del cronista, le masse forse hanno compreso. All’uscita due ragazzi commentano: “Stavolta sono d’accordo con Negri. Però di quello che ha detto la francese non ho capito un cazzo”. I comunisti di un tempo non esistono più.