Il Fatto 18.11.17
L’ipocrisia del cinema su Brizzi: lo scandalo è una bolla di sapone
Molestie
- Dopo giorni di polemiche ci sono molte accuse anonime e nessuna
denuncia. I grandi artisti tacciono: tutti devono lavorare
di Selvaggia Lucarelli
Mi
dispiace interrompere il suono di campane a festa. In Italia, il
ciclone Brizzi è stato già declassato a tempesta tropicale e la mia
sensazione è che salvo novità eclatanti, nel giro di poco sarà una
leggera brezza marina. So che lo dico mentre i pugni delle donne sono
ancora alzati e gli animi femminili permeati da un luminoso ottimismo,
ma no, non dobbiamo raccontarcela. Rimaniamo lucide. Non c’è alcuna
rivoluzione sociale o culturale in corso.
C’è, al massimo, una
rivoluzione dissuasiva in corso. In questo preciso momento storico
probabilmente registi e produttori sono più cauti nello svelare le
proprie pulsioni. Tengono le mani a posto.
Chiudono i loft a
chiave e invitano le attrici negli uffici con le targhe d’ottone
all’ingresso. Che è già un risultato, direte voi. Lo è, ma dopo Mani
Pulite non si è smesso di rubare, dopo il Brizzi-gate non si smetterà di
fare i maiali, statene certi. Lo dico perché bisognerebbe soffermarsi
con attenzione non su chi sta parlando, ma su chi sta tacendo. È il
silenzio, in questa fase, a raccontarci il sistema e la ragione per cui
sopravvive, non il chiacchiericcio.
Chi ha parlato, fino a oggi?
Qualche attore marginale della commedia. Miriana Trevisan, sparita dalle
scene da anni, Asia Argento (che come attrice è fuori gioco da un
pezzo) e le accusatrici di Brizzi, ovvero un discreto numero di
aspiranti attrici o sconosciute o pixelate. Poi? Il deserto del Gobi. Si
parla del loro ambiente, del loro luogo di lavoro, del sistema in cui
si muovono, ma stranamente le attrici famose, in carriera, credibili,
autorevoli, non hanno nulla da dire. E sia chiaro, neppure gli uomini.
Nessuno
che sappia, che abbia visto, che abbia voglia anche solo di dire la sua
sul tema. Qualche frase smozzicata giusto se c’è un microfono alle
calcagna o una telefonata a sorpresa, ma pare che le molestie siano
tutte roba di venti o trenta anni fa, oppure roba riservata alle
sconosciute, come se poi quelle famose non fossero state pure loro,
aspiranti qualcosa. La molestia contemporanea non esiste. Una mano sul
culo, un pisello mostrato senza il permesso, una lingua sul collo di
cinque minuti fa, non esistono. La molestia subita da una Buy, una
Bellucci, una Golino, una Leone, una Ramazzotti, una Chiatti, non è mai
esistita. Come in fondo, non esiste neppure una parola di solidarietà
nei confronti di chi parla.
Le uniche attrici che lavorano ancora e
che si sono esposte (la Cristiana Capotondi e Claudia Gerini), lo hanno
fatto per dire “Fausto Brizzi era tanto una brava persona”. Come se poi
ci fosse sempre una grande aderenza tra quello che sembriamo e quello
che siamo. Come se il serial killer non fosse puntualmente quello che
salutava sempre anziché quello che non salutava mai. Certo, le
rivoluzioni partono sempre dalle periferie. Ma qui non si vede ancora
neppure qualche lontana colonna di fumo, dai palazzi del potere. La
verità è che quelli che contano sono tutti complici del sistema. La
verità è che il silenzio paga. Un’attrice omertosa, lancia un messaggio
preciso: “Io sono gestibile”. Anzi. In fondo crea pure un rapporto di
riconoscenza dovuta. Se il produttore le ha messo le mani addosso e
quella sta zitta, il produttore le darà un altro film, forse. Un premio,
come la Mini Cooper per il silenzio delle olgettine. Gli attori che ne
avranno viste di cotte e di crude idem. “E poi è pure pieno di attrici
che la danno ben volentieri per lavorare”, si diranno per
autoassolversi, tra un ciak e un altro.
Magari, poi, ci sono un
sacco di code di paglia. Quanto mi piacerebbe che di quello che sta
accadendo nel loro mondo ne parlassero un Sergio Castellitto. Un
Pierfrancesco Favino. Un Giancarlo Giannini. O magari uno sceneggiatore,
che so, Roberto Saviano. Perché Saviano che pontifica su tutto, che ha
scritto “mostrare la cellulite è una rivoluzione” incredibilmente tace
su questa rivoluzione? È bizzarro. Tutti zitti, come se non li
riguardasse neppure di striscio. Come se questi meccanismi
riguardassero, forse, casa Brizzi o l’ufficio di Giuseppe Tornatore, 20
anni fa.
Che poi, per come stanno le cose oggi, pure il caso
Brizzi è a un punto morto. Le ragazze intervistate da Le Iene non hanno
un nome, quindi lui non può denunciare loro. I fatti risalgono tutti a
più di sei mesi fa, dunque sono già prescritti, ergo loro non possono
denunciare Brizzi. Per ora, per quanto le testimonianze siano
attendibili, concordanti, numerose ed emotivamente coinvolgenti, “Brizzi
mi ha molestata!” non vuol dire “Brizzi è un molestatore”. O meglio.
Vuol dire questo per il tribunale di Twitter, il televoto da casa,
l’inviato de Le Iene e per i collettivi femministe incazzate. Poi però
ci sarebbe quella cosa che si chiama Stato di diritto. Quella cosa che
si chiama presunzione di innocenza. Se decidiamo che vale per gli
assassini e i rapinatori, dovrebbe valere pure per lui. Se invece tutti
insieme decidiamo che no, per i molestatori non vale perché bisogna
interrompere un fenomeno a tutti i costi e dobbiamo credere alle vittime
incondizionatamente, allora non è neppure una rivoluzione femminista. È
una rivoluzione del diritto. Per ora, la vedo dura. E quindi, si torna
al punto di partenza. Il caso Brizzi, salvo novità, rischia di
impantanarsi.
Se Brizzi è innocente pagherà un conto enorme. Se è
colpevole, al di là di quella che è stata la sanzione sociale e morale,
non pagherà. A breve ci sarà l’oblio. Poi la riabilitazione. Poi “visto,
era tutta fuffa quella delle Iene’”. Poi un’intervista da Maurizio
Costanzo. Poi l’elezione a eroe sopravvissuto al fango lanciato da dieci
mitomani.
Eppure, tra le tante che hanno lavorato con lui e tra
le tante che sono passate nel suo loft negli ultimi sei mesi, se è vero
che era un predatore seriale, ci sarà qualcuna che potrebbe fare una
denuncia seria, di quelle vecchio stile al commissariato anziché al
microfono. Io ne conosco ben due, che sostengono di aver vissuto queste
esperienze con lui di recente (non sarebbero reati prescritti), pensate
un po’. Però non se la sentono. Hanno paura. “I processi sono lunghi!”.
“Sono rischiosi”, dicono. “E poi chi mi vorrà più in un film?”, dicono.
“Io ho un sogno!”, dicono. Già, hanno un sogno. Loro, le aspiranti, lo
rincorrono. Le attrici note lo cavalcano. Gli attori lo noti lo
proteggono. In fondo, il sogno, vale perfino un incubo.
No, non è cambiato niente.