Il Fatto 17.11.17
Fassino finge sull’art. 18 la sinistra non abbocca
Il “pontiere” pranza con Prodi e apre sul tema lavoro, ma alla Camera il Pd chiude
di Luca De Carolis
Piero
Fassino esploratore incontra e promette. A Bologna pranza con Romano
Prodi e giura che il professore “condivide la strategia del Pd”. Entro
la settimana vedrà anche Giuliano Pisapia, chissà quando invece i
vertici di Mdp, e comunque lui è disposto a discutere su tutto: “anche
del Jobs Act” assicura al Corriere della Sera. Poi però dopo gli auspici
per la riunione delle sinistre arrivano i fatti. E raccontano come tra
il Pd ancora renziano e la sinistra non più dem ci sia un fossato: largo
soprattutto sul tema dei temi, il lavoro, e sull’articolo 18, cuore
dello Statuto dei lavoratori.
Già, perché i bersaniani di Articolo
Uno, quello della Carta (“l’Italia è una repubblica democratica fondata
sul lavoro”) e Sinistra italiana invocano il ripristino della norma,
piallata dal Jobs Act. Anzi, ne vogliono una versione rafforzata, con
l’estensione del reintegro obbligatorio dei licenziati in modo
illegittimo anche alle imprese sopra i 5 dipendenti, e non più “solo” a
quelle con più di 15. Così prevede il disegno di legge che ha come primo
firmatario Francesco Laforgia, capogruppo di Mdp alla Camera, e che
riprende l’identica proposta della Cgil. Dopo una lunga serie di rinvii,
il testo approderà in aula lunedì. Ma potrebbe restarci poche ore,
visto che il Pd vuole rispedirlo subito indietro, in commissione Lavoro,
a morire. Perché di un disegno di legge del genere non vuole saperne.
“Però non diremo di no in Aula, perché vogliamo dare un segnale di
attenzione politica” spiega al Fatto la relatrice di maggioranza del
testo, la dem Titti Di Salvo. Ex Sel ed ex sindacalista della Cgil,
soppesa le parole: “In commissione ho detto che non c’erano le
condizioni per un parere positivo al testo.
Mdp e Si ritengono che
l’articolo 18 sia ancora l’architrave per un sistema di diritti, ma io
non sono d’accordo: nel 2017 la precarietà la combatti con il diritto
all’informazione, all’equo compenso e al salario minimo”. Ma qui si
parla di licenziamenti, onorevole… “Certamente, e noi ne vogliamo
discutere, anche perché il Jobs Act prevede un monitoraggio dei suoi
risultati. Ma il ddl Laforgia non è la via giusta per farlo, e poi non
ci sarebbero i tempi per approvarlo prima della fine della legislatura”.
E allora, che si fa? “La mia proposta è disincentivare i licenziamenti
aumentandone il costo per i datori di lavoro, portando l’indennizzo per i
licenziati a un massimo di 36 mensilità invece delle attuali 24. E poi
abbiamo già raddoppiato la tassa per chi licenzia, nella legge di
Bilancio”.
La distanza rimane enorme… “La nostra proposta non è un
espediente tattico. E tra me e persone come Guglielmo Epifani e Giorgio
Airaudo c’è molta meno distanza che con colleghi come Renato Brunetta”.
Qualche metro più in là in Transatlantico c’è proprio Airaudo, anche
lui ex sindacalista Cgil, ora in SI. Ed è duro: “Il nostro ddl si ispira
a una proposta su cui la Cgil ha raccolto oltre un milione di firme, e
il Pd ci risponde con l’aumento dei risarcimenti. Ma i diritti non si
monetizzano, e la loro proposta è una mercificazione inaccettabile, che
non tutela affatto i lavoratori. Mentre la nostra non vogliono neanche
discuterla”. E ora? “Io leggo che Fassino telefona a tutti e promette di
voler discutere anche sul Jobs Act, però poi lo si rilancia: alla
faccia dell’apertura. Questa volontà di dialogo non c’è, nei fatti”.
Sullo
sfondo i 5Stelle, che avrebbero votato un ritorno al vecchio articolo
18, e a cui la sinistra rossa tende da tempo la mano. Ancora Airaudo:
“Avremmo potuto confrontarci sulle soglie, in aula. E comunque hanno
promesso che proveranno a evitare il ritorno del testo in commissione,
come noi. Ci sarà battaglia”. Fuori, retroscena e sussurri. Sempre su
Fassino, che ai “rossi” vuole promettere anche l’approvazione dello ius
soli. Mentre Massimo D’Alema, che lo ha schivato, precisa: “Ho solo
detto che doveva parlare con i vertici di Mdp”. Ma da Articolo 1 a SI,
lo scetticismo domina: “Non c’è nulla in agenda con Fassino”. E la linea
resta quella di Bersani: “Uniti si perde”.