Il Fatto 15.11.17
La retromarcia del Kurdistan
Il governo
della regione autonoma irachena torna sui suoi passi: lo “Stato” dei
curdi, osteggiato anche dal vicino Iran, è durato un mese e mezzo
di Roberta Zunini
Piegato
nella volontà anche dal sisma che ha finora provocato oltre 500 morti e
migliaia di feriti e sfollati, il Kurdistan iracheno ha infine alzato
bandiera bianca e annunciato di accettare la sentenza della Corte
suprema di Baghdad del 6 novembre che vieta la secessione di qualsiasi
provincia dell’Iraq. “Crediamo che questa decisione debba diventare la
base per iniziare un dialogo nazionale inclusivo tra Erbil e Baghdad per
discutere tutte le questioni” in sospeso, si legge in un comunicato del
governo regionale del Kurdistan.
Si dovrebbe aprire così una
nuova fase nei negoziati, in stallo, tra le autorità di Erbil e quelle
di Baghdad. La leva però è di fatto solo nelle mani del vicino iraniano,
la Guida spiriturale Alì Khamenei, mentore dell’ex premier iracheno al
Maliki, oggi formalmente vice di Abadi, sempre potentissimo. Baghdad,
nonostante la presenza, residua, americana è ormai una provincia
dell’Iran. Che prima ha voluto che Abadi chiudesse lo spazio aereo curdo
e quindi ha ordinato di conquistare la città curda contesa, anche
perché ricchissima di petrolio, di Kirkuk.
La posta in gioco di
questa tragica farsa animata anche dal sultano Erdogan (in eterna
trattativa con Putin contro gli alleati Nato americani e quotidianamente
disposto a tutto affinché non nasca un abbozzo di stato curdo per
emulazione entro i confini turchi) è costituita però non solo da Kirkuk,
ma anche i valichi di confine tra Kurdistan e Turchia e tra Kurdistan e
Iran dove transita ogni giorno una teoria infinita di camion carichi di
petrolio.
Abadi ha dichiarato di aver accolto con favore la
decisione del governo regionale del Kurdistan, per poi sottolineare
subito dopo : “Riprenderemo però il controllo sulle aree di confine
senza esitazione ma senza violenza. Del resto non possiamo aspettare per
sempre”. Per indorare la pillola ai curdi fiaccati dal terremoto, Abadi
ha inoltre ribadito l’impegno del suo governo a pagare gli stipendi dei
lavoratori pubblici del Krg. In questo frangente ne avrebbero bisogno
soprattutto i medici del pronto soccorso e gli infermieri degli ospedali
pubblici che non ricevono il già misero stipendio da almeno 4 mesi. E
intanto curano i feriti del terremoto.
Il paradosso che i curdi
hanno dovuto affrontare, dopo le violente reazioni del governo centrale
dopo il voto per l’indipendenza del 25 settembre, voluto dal clan
Barzani e dal suo partito democratico del Kurdistan, è l’aver dovuto
combattere contro le armi e i blindati americani dati dall’Iraq alle
milizie sciite. Quegli americani ex amici contro i quali ha parlato la
settimana scorsa l’ex presidente Masud Barzani, dopo le sue dimissioni
rimasto “solo” a capo dei peshmerga usati dagli americani in funzione
anti-Isis. Armi troppo pesanti così come il vento della storia che
sembra girare sempre a sfavore dei curdi quando si tratta di “quagliare”
e concedere loro uno Stato, almeno nel Kurdistan iracheno.